Venerdì 12 aprile esce in radio e su tutte le piattaforme digitali Marta D, il singolo d’esordio di Evelina, un progetto artistico anonimo e queer che propone di andare oltre i confini e l’apparenza per provare a lasciar spazio unicamente alla musica, alle visioni e alle parole.

Il brano è prodotto e arrangiato da MuČe Čengić, chitarrista bosniaco tra i fondatori dei Zabranjeno Pušenje - gruppo rock molto popolare nella ex Jugoslavia - produttore discografico e ingegnere del suono, trasferitosi in Italia da Sarajevo alla metà degli anni ’90 dopo il conflitto in Bosnia ed Erzegovina.

Marta che mi ha visto cadere/ mi stringe in mano e mi conta le dita

Questa canzone - che cammina in bilico fra intimismo e realismo - è una narrazione metaforica in cui un flusso veloce di istantanee dà vita ad un turbine di sentimenti contrastanti che sorprende, emoziona e spiazza.

«Marta D” è il risultato e il racconto di una lotta. - spiega Evelina. Schiaffi e carezze si susseguono e si sovrappongono fino a diventare indistinguibili, mentre intorno il tempo resta sospeso tra passato e futuro, tra ricordi appannati e visioni chiare. I suoni e le parole sono come ferite nel cuore dell’umano. Lacerazioni che possono essere curate soltanto restituendo misura e scala al dolore nostro e a quello altrui. Marta D” è un lento e distruttivo sprofondamento nei sentimenti più isolanti, nelle paure, nelle ansie e nelle dipendenze. Allo stesso tempo è un atto di rivolta, nel tentativo disperato di aprire una fessura tra le pietre di una fortezza che opprime fuori e dentro le sue mura imprecise. È un invito a uscire dal nostro piccolo torpore e a essere sconsiderati, per provare a ricordarci chi siamo e dove siamo ».

La cover del singolo fa parte del progetto fotografico Eclissi: un oltreconfine, frutto dell’ombra dei corpi sui corpi, realizzato da Evelina e che verrà svelato interamente con l’uscita dell’album. È il risultato di un processo di deragliamento percettivo e culturale che interpreta la guerra al corpo-donna e all'anima-femmina come radicate e infinite declinazioni di una fobia, di un punto di vista immutabile, di una biopolitica trasversale, nel tempo e nello spazio. Un’ostinata continuità contro qualsiasi resistente discontinuità.

Evelina è una nomade delle arti e dei paesaggi e narratrice e tessitrice di quel che resta. È una creatura fragile, oscilla tra il trauma e la gentilezza. Danza liberata e leggera, finché potra, tra gli specchi di questa fraintesa realtà, sul piano inclinato di questa slavina.