Anticipato dai singoli Specchio, Le Nostre Memorie e Anche Così, ESTREMO è l'EP d'esordio di TAOMA, disponibile dal 6 giugno per UMA Records/Sony Music Italy.
La tracklist di ESTREMO include, oltre ai tre singoli estratti, due tracce inedite: Moonlight, unico brano dell'EP interamente in lingua inglese, e la focus track Cannonball, una confessione sincera, un atto di fede in un universo che accoglie tutti, anche chi si sente un alieno tra gli umani o viene criticato perché considerato non conforme. Una dedica a chi cerca una rinascita, consapevole della necessità di una trasformazione, a chi ha il coraggio di cambiare e di fondere il proprio spirito con l'energia che sprigiona il mondo.
Ci ha incuriosito sin da subito il suo background: studi in America e una famiglia di artisti. E volevamo sapere di più di quest’esordio.
1. Qual è il filo conduttore che unisce tutti i brani di questo EP? Risalgono tutti allo stesso periodo della tua vita? Hai voglia di raccontarci qualcosa a riguardo?
Questo disco si chiama ESTREMO principalmente perché gli accostamenti di colori, suoni e tematiche sono tali. Parlo di cose che bene o male sono capitate a tutti e su cui chiunque può essersi trovato a riflettere nella propria vita, ma lo faccio con dei colori forti e fosforescenti, un po’ per enfatizzare quanto intensamente io senta le cose, anche le più normali. Col senno di poi posso dire che i brani si ricollegano ad un periodo particolare della mia vita, dove ho dovuto prendere in mano la mia vita ancora una volta, lasciandomi un capitolo vecchio alle spalle per scriverne uno nuovo. I brani risalgono a questa mia nuova fase dove dopo aver vissuto 8 anni negli USA ho deciso di tornare in Italia e ricominciare tutto da capo, facendo anche un po’ il punto della situazione. Adesso sono quasi 3 anni che sono ritornato a Roma e la persona che ero prima di partire, fondendosi con quella nuova parte di me nata in California, ha forgiato l’artista che sono oggi. La mia vita è una serie di scelte drastiche e salti nel vuoto, ovviamente non sono riuscito a mettere tutto in questo primo disco, ma quantomeno è un inizio!
2. Dici che questo disco è una dedica a chi cerca una rinascita. Qual è stata quindi la tua rinascita? E quanto la musica ha a che fare con la tua rinascita?
La musica ha tutto a che fare con la rinascita, e quest’ultima ha tutto a che fare con una “morte”. Andandomene dall’italia per quasi tutti i miei 20 anni sono risucito a mettere in discussione tutto, la mia cultura, le norme sociali a cui ero abituato, il modo in cui venivo percepito dai miei amici e la mia famiglia e un po’ anche da me stesso. In questo processo ho sperimentato, mi sono trovato, ma prima di trovarmi mi sono dovuto perdere. La mia vera rinascita è stata canalizzata nell’uscita di un disco che parla di me, ma che in realtà parla un po’ di tutti, e che soprattutto non esiste più solo nella mia testa ma nel mondo reale.
3. E a proposito della tua biografia, leggiamo che ti sei spinto da un continente all’altro. Ti ricordi ancora qual è stata la primissima spinta che ti ha portato a partire?
Sono andato via dall’Italia senza esitazione, non perché mi trovassi male, anzi, amavo la mia vita a Roma, i miei amici, ero anche fidanzato e stava andando tutto bene. Sentivo però che mancava qualcosa, e quando mi trovai davanti la possibilità di andare a studiare per 3 mesi a Los Angeles, a 20 anni e pochi mesi, sentii un calore dentro che ho semplicemente seguito. Unico problema, quei 3 mesi si sono trasformati poi in 8 anni, ho seguito il flusso e mi sono creato una vita. Se ho così tanta fiducia in me stesso è perché ho avuto modo di sperimentare con le mie abilità, crearmi i problemi e risolvermeli, mettermi in discussione mille volte guidato solo da un’unica, grande forza: la curiosità.
4. Che rapporto hai oggi con Roma e la sua scena musicale?
Amo Roma e come tutti i romani un po’ la odio, ma la amo di più. La scena musicale è ricca di talenti e sta diventando sempre più fertile ma ha bisogno di una spinta, uno shot di self confidence. Ci sono molte belle iniziative sulla carta e bisogna lavorare un po’ meglio per tradurle nella pratica. Però il clima è bello, vedo tanto potenziale per il futuro anche prossimo.
5. Pop e ricerca musicale possono andare d’accordo? Ci parli del tuo processo di scrittura e composizione che ti ha portato a finire questo disco?
Non so che idea abbia la gente del Pop, ma non esisterebbe senza la ricerca musicale. Forse è il genere dove si concretizza di più questa ricerca, io lo vedo come un esercizio di songwriting. Se un musicista riesce a far convergere la propria ricerca musicale in un’opera che ha anche un senso a livello commerciale secondo me è un genio. Lo dico da amante della musica rarefatta e astratta, della sperimentazione e dell’avanguardia artistica, la musica deve soprattutto emozionare e per farlo deve entrare nelle storie della nostra vita. Amo il Pop perché riesce a fare tutto questo mantenendo anche una concretezza che è necessaria per far arrivare queste epifanie sonore a chiunque ed è il terreno musicale più inclusivo di tutti. Nel pop ci può rientrare ogni genere e ogni tipo di sperimentazione, purché chi compone sia sufficientemente astuto ed abile da trovare quest’equilibrio sottile. Nel mio disco ho tentato, al meglio delle mie possibilità attuali, di mettere in pratica questo concetto senza limitarmi sulla scelta di suoni, fusione di generi e in generale la mia espressione artistica. Trovare la chiave di volta per rendere tutti i brani coerenti tra loro è parte del processo artistico, una sfida per chi è curioso di scoprire un nuovo lato di se, ma un ostacolo per chi è troppo innamorato delle proprie convinzioni e non è disposto a mettersi in discussione. Ve l’ho detto, è un esercizio di songwriting..