21 punti. Arrivare secondi per soli 21 punti. E io a maledire il mio cellulare, una connessione internet lenta e rumorosa. 2002, Festival di Sanremo. Una poco più che ventenne Valentina Giovagnini strega la giuria dell’Ariston con “Il passo silenzioso della neve”. Brano dalle sonorità complesse, echi celtici, strumenti dai nomi impronunciabili guidati da una voce angelica e potente. Fosse uscito venti anni dopo, sarebbe in tutte le classifiche indie, breakthrough, ambient. È il classico colpo di fulmine: Premio per il miglior arrangiamento, giuria entusiasta, pubblico in sala commosso. 21 punti: Valentina arriva seconda dietro una giovanissima Anna Tatangelo. Una manciata di punti: ancora non mi perdono per non aver mandato quel sms di voto. Problemi di credito, amici.
Non esisteva Spotify, YouTube era un lusso, programmi come Emule restituivano solo porno ungheresi. Ma Valentina la ascoltavo in radio, qualche giornale musicale, perdevo tanti pomeriggi a comprendere le sue canzoni, ad ascoltare quelle note eteree e di nicchia. Era una musica così incontaminata che portava a viaggiare verso tramonti fatti di luci pastello ed animali mitologici. Arpe miste a suoni sintetizzati. L’elettronica faceva capolino tra l’etnico ante litteram. Il FestivalBar, il primo Album.
Sembra una vita fa: si era davvero fan di un artista. Si aspettava l’uscita, la nuova canzone, si commentava. E si era transtemporali, oltre le legende, i generi. Ci saremmo ammalati di classificazioni di li a breve. Emozioni sincere, rustiche. Noi piccoli bifolchi della musica intenti ad emozionarci. Le playlist erano zeppe di pop italiano, elettronica, qualche remix di vecchi successi. Avevo una cartella con le canzoni della Giovagnini accanto ai Depeche Mode. Eravamo liberi: la dance riempiva le serate, potevi ascoltare la Spears e i Metallica senza vergognartene, non dovevi prendere la Valeriana per ingoiare la delusione per la morte dell’Indie. “Balla fino a che pace non c’è”: Senza Origine, l’influenza delle sonorità proprie della musica medioevale, i video di Valentina che suona la cornamusa. I testi così aperti sul mondo, su una dimensione onirica così delicata. Senza origine, correlato da un video meraviglioso e dalle tinte spettacolari, resta una delle tracce in cui la voce della Giovagnini si mostra in tutta la sua estrema potenza creativa.
Creatura Nuda è un album che mostra l’anima variopinta e fragile di Valentina: pezzi come il già citato Senza origine, Metamorfosi, il Trono dei Pazzi raccontano di una ragazza semplice, innamorata della Musica, rapita da un mondo apparentemente lontano. Il connubio uomo-natura si esprime attraverso un abbraccio maturo. Tante delle rivendicazioni ambientaliste, di un ritorno ad un esistenza “primitiva” trovano il giusto sfogo in testi elaborati e ricchi di note e colori intriganti, vivi. L’artista si mette a nudo, a uso e consumo del suo pubblico. L’energia del mondo come motore per se stessi: ritornare alla vita con un respiro nuovo, un carburante senza sosta.
L’esperienza sul palco di Valentina viene raccontata con toni entusiastici, con performance commoventi ed energiche. Il mondo musicale sta cambiando e inizia a travolgerla: la crisi di finanziamenti, la nuova corrente pop, il crescente uso del Web, la musica usa e getta. Valentina si vede fuori da Sanremo per anni, negandole una visibilità che si traduce con ritardi nell’uscita del suo secondo lavoro. Ad oggi pensare che una traccia come Sonnambula non abbia avuto un minimo di considerazione mi aiuta a pensare a quanto questo mondo sia effimero e a quanto ciò che resta di noi siano solo le nostre parole: scritte, urlate, nascoste. Ogni artista soffre dinnanzi al mare o nello stantio della sua cameretta e scrivere è un ancora di salvezza. L’evasione creativa in Valentina che scrive, canta, si fonda con il Mondo. Eppure di materiale ce n’era: fogli e strumenti pieni di un attenzione traslata verso un Universo in continua evoluzione e di cui lei si sentiva anello ed ingranaggio. Passano gli anni, i premi e le esperienze si moltiplicano. “Uscirà”, mi ripeto tra un esame e una ciocca di capelli bianchi.
L’annuncio per il nuovo album arriva: novembre 2008. Io sto crescendo: il mio primo lettore mp3 giallo da 128 megabyte ha lasciato il posto ad un performante 8 Giga. Valentina morirà il 2 gennaio 2009. Incidente stradale. Io seduto a casa mia, circondato dai dolci natalizi, incredulo. A neppure trenta anni ci lasciava un artista completa, con cui avevo passeggiato per tutto il percorso universitario, che mi aveva tenuto compagnia e aiutato ad evadere nei momenti blu. Pochi mesi dopo sarebbe uscito postumo “L’amore non ha fine”, contenente tutto il lavoro degli ultimi anni. Un lavoro organico, ricco di tracce in cui si evidenzia il percorso privato e artistico di Valentina. Tracce come “Ogni viaggio che ho aspettato” mostrano un percorso di catarsi che Valentina aveva iniziato anni prima: la felicità, l’estrazione dalla furia del mondo, un carpe diem vellutato. La traccia che dona il titolo all’album è un eredità che riempe gli occhi di lacrime, ci spinge verso qualcosa di impalpabile ma che dona nuova forza al cuore.
Valentina credeva nell’amore, nella forza del rinnovo di se stessi, nell’anima che ogni giorno riflette la luce nuovamente, creando nuove sfumature. Era una continua emozione la sua vita, espressa attraverso la Musica. Cuore e battito respiratorio mossi da comete stellari, dai suoni delle nuvole, abbracciati da Elfi benevoli. Oggi il ricordo di Valentina vive nell’Onlus che porta il suo nome e che ogni anno dona la possibilità di farsi ascoltare a nuovi talenti. La voce di Valentina vive in ogni nuovo artista che cerca la sua strada e usa la Musica come unica armatura. Inimmaginabile, la canzone con cui provò a partecipare a Sanremo 2005, esce nel 2018. Non inviai quel sms ma adesso è nella mia playlist. Cambiano le strade, cambiano i sogni, ma l’amore per la Vita non ha fine. Ciao Vale.
Francesco Pastore