Andrea Russo è un chitarrista italiano. In questa intervista ci racconta il suo album "Just Moments", la sua evoluzione chitarristica e l'insenamento.
Come hai scoperto la tua passione per la chitarra e la musica in generale?
Ma direi in una maniera quasi del tutto naturale, istintiva. Avevo circa 4 anni quando entrai nella stanza di mio nonno dove teneva un pianoforte a coda e una vecchia chitarra classica. Imbracciai subito la chitarra e mi misi ad emettere note senza senso, mi divertii tantissimo. Successivamente suonavo ciò che mi capitava (pianole, fisarmoniche flauti etc.), passavo anche pomeriggi interi nella mia stanzetta a canticchiare ovvero a cercare di emulare i grandi cantanti pop del momento (Duran Duran, Spandau Ballet e Madonna).
Una sera mio padre mi fece vedere un live in tv dei Pink Floyd, eravamo in pieni anni 80 io ero solo un bambino e rimasi folgorato del suono della Stratocaster di David Gilmour.
Avevo capito quale era il mio strumento da imparare, rimaneva adesso solo farlo capire ai miei genitori.
Ho dovuto attendere il mio quindicesimo compleanno per ricevere la mia prima chitarra come regalo, era una chitarra acustica ed io non stavo sulla pelle dalla felicità.
Da quel momento iniziai il mio percorso da autodidatta procurandomi inizialmente una tabella di accordi che mi ha permesso di iniziare a suonare molte canzoni preferite tipo: Beatles, Rolling Stones, Bob Dylan, Led Zeppelin, Eric Clapton, Pink Floyd etc.
Cosa ti ha spinto a esplorare generi così diversi come pop, rock, heavy metal, blues, e jazz fusion?
Avevo 17 anni e mi ero appena comprato la mia prima chitarra elettrica, nel frattempo ho studiato le prime scale i power chord, suonavo i primi assoli rock delle mie band preferite tirati giù ad orecchio e mi ero innamorato dell’Heavy Metal.
Avevo appena formato una band, facevamo cover di Ozzy Osbourne e degli Iron Maiden.
Eravamo tutti minorenni e abbiamo fatto il nostro primo live in una manifestazione è stata una esperienza fantastica, nonostante tutto quando andavamo a provare uscivo dalla sala prove un po’ insoddisfatto, sapevo che oltre a quel suono assordante e quelle note veloci la musica era anche molto altro e che la chitarra poteva darmi molto di più.
Non mi piaceva l’idea di seguire delle regole ben precise per rispettare il genere, avevo bisogno di spaziare, il Metal cominciava a starmi stretto.
Proprio in quel periodo cominciai a frequentare ambienti musicali di livello, gente più grande di me che proveniva dai conservatori, bluesman, Jazzisti, insegnanti di chitarra pop. Fu il periodo che iniziai ad ascoltare artisti come Frank Zappa o Jeff Beck giusto per citarne qualcuno.
Tra tutti i generi che hai esplorato, c’è uno in cui ti senti più a casa?
Senza dubbio è la Fusion. Per me la musica in quanto forma d’arte deve evolversi, e nella Fusion (anche se a me non piace parlare di genere) ci trovo la vera evoluzione e una completezza assoluta. Proprio per questo non è facile descrivere questo genere musicale così tanto affascinante, proprio perché è fatto di tanti elementi ritmico stilistici rendendolo impossibile circoscriverlo in un semplice “genere”.
Come descriveresti la tua evoluzione musicale dagli inizi a oggi?
Ovviamente oggi il mio approccio verso la musica è più maturo perché ho una consapevolezza maggiore, inoltre le varie esperienze non solo live ma anche in studio e i vari studi di armonia che ho fatto su numerosi testi universitari mi hanno portato ad avere una tavolozza di colori davvero ampia, ma ciò non significa arrivare alla perfezione ma quanto meno riuscire ad esprimere al meglio se stessi e le proprie sensazioni in musica, credo che la cosa più importante sia proprio il riuscire a comunicare attraverso le note.
In che modo artisti come John Coltrane o Allan Holdsworth hanno influenzato il tuo modo di comporre e suonare?
La prima cosa che mi ha colpito tantissimo di questi artisti di epoche diverse ma con tante caratteristiche simili è proprio la loro “personalità”, la loro originalità che li ha contraddistinti fatta di una continua ricerca ed una evoluzione dell’armonia, spesso di “trasgressioni” delle regole convenzionali, queste ultime si vedono proprio nelle loro tecniche contrappuntistiche e quindi nelle loro composizioni e improvvisazioni, ed è qui che inizia l’evoluzione artistica, proprio quando si ha la capacità di uscire dalle regole dopo averle imparate, d’altronde la storia della musica occidentale ci insegna proprio questo , ciò che prima era considerato disarmonico nel tempo è diventato musicale e quindi regola, tutto ciò rientra nell’ evoluzione artistica e nella personalità appunto dell’artista.
Qual è stata l’ispirazione principale dietro dell’album "JUST MOMENTS"?
JUST MOMENTS è un album di chitarra moderna in cui ho messo tutta la mia esperienza compositiva, rifacendomi al Jazz, al Rock e alla Fusion, dai suoni simili ai chitarristi odierni che mi hanno influenzato tantissimo (Brett Garsed o Greg Howe per citarne alcuni).
Ho voluto descrivere vari momenti importanti della mia vita ricreando varie atmosfere come fossero delle fotografie, una sorta di raccolta di foto, in realtà dei momenti musicali (ecco perché il titolo JUST MOMENTS).
Abbiamo, quindi, atmosfere in cui si evidenziano sensazioni di rinascita, di gioia, ma anche momenti più intensi ed energici come il brano REFLECTIONS, ad esempio, che è un vero e proprio brano progressive metal dai ritmi serrati, con un inizio che ci porta quasi in una dimensione mistica dai sapori etnici dell’India per poi proseguire verso parti obbligate e parti soliste molto tecniche non solo di chitarra.
Un album che attraversa vari momenti dallo smooth jazz al latin. Nel brano ALHAMBRA, ad esempio, emerge il mio amore verso la musica spagnola nello specifico il flamenco ecco perché ho voluto dedicarlo a questo bellissimo complesso palaziale andaluso.
Come hai lavorato alla composizione e agli arrangiamenti delle tracce?
Dopo aver creato le strutture dei brani e fatta la scelta dei ritmi ho iniziato a creare la batteria con un software dal quale ho preso solo i suoni ma la composizione è tutta mia. Successivamente ho composto le parti del basso registrando il mio basso vero.
Dopo è stata la volta di tutte le tastiere, synth e pianoforte. Dopo ho composto le parti con gli archi. Man mano che andavo avanti dovevo continuamente apportare modifiche ai brani migliorandoli di volta in volta, qualcuno l’ho dovuto rifare da capo, altri circa 5 brani li ho scartati.
Alla fine dopo aver ottenuto tutte le tracce di tutti gli strumenti per ogni brano ho iniziato il missaggio e infine il mastering.
Ci sono canzoni nell’album che hanno una storia particolare o un significato personale per te?
Ad essere sincero tutti i brani li metterei sullo stesso piano, ovvero ognuno racconta una storia per me importante, però devo anche dire che SEVENTH SKY, l’ultima traccia dell’album tra l’altro forse quella più apprezzata dal pubblico, è un brano che ho finito di comporre durante la pandemia, ricordo benissimo come quel periodo cosi particolare e così strano abbia influenzato tantissimo la costruzione del brano stesso. Nella parte finale, infatti, il brano (dalle molteplici atmosfere) diventa molto arioso, perché volevo proprio descrivere il desiderio che la pandemia fosse finita il più presto possibile, dovevo dare spazio al finale del brano, e così ho cercato di fare.
Hai dovuto affrontare sfide particolari nella produzione del tuo album?
Eccome!! Ho voluto fare tutto da solo, composizione di tutti gli strumenti, mix, master, copertina, pubblicazione…
Insomma, ne avrei davvero tante da dire per quanto riguarda le difficoltà con le quali ho dovuto far fronte, ma è stata in ogni caso una bellissima esperienza che credo mi abbia fatto crescere tantissimo.
Hai insegnato chitarra per diversi anni: cosa ti ha lasciato questa esperienza a livello umano e musicale?
Una delle cose più belle che mi ha potuto dare la musica sotto l’aspetto umano e musicale è proprio questo, l’insegnamento, che faccio tutt’ora.
Insegnare è una enorme responsabilità, bisogna avere una preparazione adeguata, devi sapere cosa stai insegnando e dimostrarlo in qualsiasi momento, devi comunque creare un percorso e un metodo che funzionano altrimenti non puoi insegnare.
Altra cosa fondamentale è la comunicazione, se non sai comunicare con un linguaggio adeguato e chiaro nessun concetto verrà compreso dai tuoi allievi. Tutto ciò che insegno l’ho prima vissuto sulla mia pelle.
Insegnare significa anche metterti in gioco continuamente. Con i miei allievi sono riuscito ad instaurare un rapporto meraviglioso, li adoro e spesso sono io ad imparare qualcosa da loro, vedere tanti miei allievi crescere e fare i loro primi passi nel mondo della musica soprattutto in un periodo come questo, che non è facile, per me è la gratificazione più assoluta.
Ci sono collaborazioni o progetti futuri di cui puoi parlarci?
Ad oggi non ho un progetto già definito, ma ho dei brani nuovi, avrei anche l’idea di mettere su un trio e avrei anche i musicisti, quindi chissa…