Claudia Aliotta è una cantante, molto preparata e anche molto curiosa. Non a caso i suoi studi non si soffermano solo sulla teoria, ma vanno più a fondo anche con la pratica. Particolare è la sua idea di proporre un progetto musicale monografico sulla compositrice afro-americana Irene Higginbotham.

Ci approfondisci i tuoi studi musicali?

Ho compiuto regolari studi in Conservatorio di pianoforte classico ed ho proseguito la mia formazione con la Laurea D.A.M.S. a Bologna e il Diploma di Didattica della Musica. Parallelamente a questo percorso i miei principali interessi sono sempre ruotati intorno all’espressione vocale spaziando dal pop alla musica barocca e alla musica celtica, ma approfondendo nel corso degli anni una particolare vocazione legata al repertorio jazz. Ciò mi ha spinto a voler intraprendere per una maggiore preparazione professionale gli studi di Canto Jazz in Conservatorio ( Morlacchi a Perugia) conseguendo la Laurea Triennale di I livello (Tesi - La versatilità musicale della compositrice Irene Higginbotham) e il Biennio Specialistico di II livello sotto la guida quest’ultimo di Marta Raviglia ( Tesi - Le voci di Mingus).

Quali sono state le esperienze che ti hanno maggiormente formato?

La frequentazione assidua di concerti, tantissimi ascolti dei più disparati generi, cantare tantissimo sin da ragazzina, le attività legate alla musica di insieme in Conservatorio come la Big Band del Morlacchi diretta da Mario Raja e le masterclass con Maria Pia De Vito al Messina Sea Jazz Festival, quelle con Gabriele Mirabassi e Franco Cerri, solo per citarne alcune e i corsi delle No Border Master Class di Gubbio. Oltre a quanto già detto, in modo particolare sono state molto stimolanti le attività di laboratorio su voce e corpo con la cantante Marta Raviglia e ovviamente anche tutti i momenti live di studio o legati a performance in varie formazioni. Io trovo un grande arricchimento e un forte stimolo anche in attività collaterali, ma sempre strettamente legate alla musica, come le trasmissioni radio di storia del jazz che curo dallo scorso anno presso la Dot Radio di Spello e l’Ufficio Stampa per Tolentino Jazz, un’associazione musicale che mi ha permesso di entrare in contatto con tantissimi ottimi musicisti e seguire da vicino anche gli aspetti manageriali della musica.

Ci parli dei tuoi progetti attuali e per il futuro?

Da qualche anno propongo un progetto musicale monografico sulla compositrice afro-americana Irene Higginbotham, songwriter di ottimo livello degli anni Quaranta i cui brani furono interpretati da artisti del calibro di Billie Holiday, Nat King Cole, Peggy Lee, Anita O’ Day e Dinah Washington. Il mio lavoro di ricerca su di lei mi ha portato a scoprire lo scorso anno diversi inediti, ampliando ulteriormente il catalogo delle sue opere tutt’ora mai pubblicato e conosciuto in maniera piuttosto ridotta rispetto alle sue reali dimensioni. Il materiale più raro e interessante che ho raccolto, dischi, foto e spartiti d’epoca, è stato allestito in più occasioni nella mostra “Irene Higginbotham: il volto nascosto del jazz” includendo anche le copie di due manoscritti del 1940, canzoni firmata dalla Higginbotham con Louis Armstrong, di cui sono entrata personalmente in possesso recandomi alla Library of Congress di Washington dove erano conservati, ottenendo la riproduzione con il permesso della Louis Armstrong Educational Foundation e che sono stati eseguiti in prima assoluta al Tolentino Jazz Festival lo scorso settembre con Manuel Magrini al pianoforte. Tutto il progetto su Irene Higginbotham sfocerà in una pubblicazione su di lei corredata di cd. L’altro progetto “ Mingus’ Vocal Suite” , il cui debutto è previsto a dicembre, riguarda la produzione vocale di Charles Mingus, in genere poco conosciuta, con il recupero anche di brani composti agli inizi della sua carriera e includendo anche le versioni vocali di brani strumentali realizzate da Elvis Costello. Insieme a tutto ciò fra i miei impegni musicali è presente anche l’attività didattica nei Licei Musicali di Perugia e Città della Pieve e la gestione della stagione jazz presso il The Play Bar di Deruta (PG).

Cosa pensi del panorama musicale attuale? La musica originale di oggi può essere considerata di qualità?

Per quanto riguarda il jazz conosco tantissimi musicisti di ottimo livello con una visibilità non proporzionata alla qualità artistica che propongono ma che grazie ad una sempre maggiore diffusione della musica live nei locali e nei festival riescono a farsi apprezzare. Diverso è il discorso se si parla di mercato discografico a livello nazionale soprattutto per la leggera dove la qualità è sempre più latitante.

In che modo usi il web e i social per la tua attività musicale?

Uso tantissimo questi strumenti per promuovere sia le mie ricerche di storia del jazz sia i concerti ed i riscontri sono sempre positivi.

Autoproduzione oggi. Qual è la tua visione?

L’autoproduzione è una grande conquista per poter realizzare in libertà la propria musica, se anche si paga il prezzo di una distribuzione limitata si ha però la possibilità di gestire più da vicino il prodotto musicale e dargli la veste più rispondente alle proprie esigenze. Purtroppo però il libero accesso a volte crea una certa sovrapproduzione a scapito della qualità.

Come vedi il futuro della musica?

La musica è parte integrante delle esigenze comunicative dell’uomo e come tale troverà sempre strade e situazioni di rinnovamento. La musica possiede una dimensione artistica e formativa dal valore inestimabile che racchiude in sé stimoli, risorse e ispirazione per arricchire sempre di più l’uomo e la società.