Luca Eri è un cantautore italiano. L'ultimo singolo s'intitola “Åpøcalisse”.

Quali sono state le esperienze che ti hanno maggiormente formato?

Come uomo, sicuramente l’insegnamento. Come musicista ce ne sono state tante: dalle chiuse in studio di registrazione, alle lezioni di canto, passando per i live. Quel che è certo – come avrebbe detto anche il vecchio caro Hegel – è che in tutte le mie esperienze è stato cruciale il travaglio del negativo: quel coacervo di errori e fallimenti è stato un qualcosa di necessario e fondamentale, e lo custodisco con gelosia nella mia memoria.

E' uscito il tuo nuovo singolo “Åpøcalisse”. Ce ne vuoi parlare?

Åpøcalisse nasce dal tentativo di rispondere a una domanda alla quale, per definizione, è impossibile rispondere: cosa ne sarà del nostro amore, il giorno della fine del mondo? E la risposta è stata questa: un testo misterioso cantato su una base ballabile. Di meglio non avrei saputo fare. (Ride)

Progetti per il futuro?

Preparami nella maniera migliore possibile alla prossima vita: anche se è tosta purificare l’anima e liberarsi dal peso della materia.

Quanto conta secondo te la passione, la costanza e la motivazione per avviare una carriera musicale?

Lavoro ogni santo giorno sul mio progetto: anzi, ogni singolo istante di ogni santo giorno. Da quando porto a spasso il cane, a quando ceno guardando una partita della Lazio. Credo nell’ispirazione, ma senza averla preparata, anche tecnicamente, difficilmente si riesce a creare qualcosa di veramente artistico. Anche Michelangelo ha dovuto studiare per diventare Michelangelo, no?

Qual è il messaggio che vuoi comunicare attraverso le tue canzoni?

Io parto da un concetto antico: per me l’opera d’arte non è figlia dell’artista, ma della divinità che parla attraverso l’artista. L’idea è quella di riuscire a svelare, attraverso l’arte, una piccola parte di quei grandi misteri che circondano la nostra esistenza. Una piccola parte, perché sono misteri che sono destinati a rimanere tali, almeno fin quando continueremo a vivere su questa terra.

Com'è il tuo rapporto con il web e i social?

Nel complesso mi sforzo di amarli, e in un certo senso so quanto siano imprescindibili e utili: però a volte ho bisogno di staccare tutto, di fuggire sulla montagna che domina il mio paese, e di dimenticarmi che esistano. Il giorno in cui esce un mio singolo lo faccio sempre, è diventato una specie di rito: dormo nelle baracche dei pastori, con qualche amico stretto, e ci divertiamo a fare gli uomini primitivi.

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro della musica?

Rivoluzioni a breve non ne vedo, ma sono certo che un giorno il nostro modo di fare musica sarà uno dei tanti ricordi sbiaditi dell’umanità. Forse si salveranno solo i più grandi, tipo Manuel Agnelli, mentre il resto sarà inesorabilmente condannato all’oblio.