Alessandra Valenzano è una giovane cantautrice. Il suo ultimo singolo s'intitola ''Ci hai mai pensato al Vietnam''.

Quali sono state le esperienze che ti hanno maggiormente formato?

Ho sempre pensato che la mia formazione musicale vada di pari passo alla mia formazione come persona, poiché da ogni vittoria o sconfitta, ne ho sempre ricavato una lezione importante per me, da sfruttare nella mia carriera o nella mia vita, più in generale. Dalla musica, ho imparato a dire quello che penso nel modo più personale che conosca, senza mai tradirmi. Ma sono anche una studentessa di giurisprudenza, e dallo studio ho imparato che cosa sia la pazienza, a pedalare ogni giorno, anche solo un poco, per ottenere un miglioramento: questa stessa pazienza la uso nella mia musica, nell’approccio allo strumento e alla scrittura, così come, nello studio, applico la mia visione personale delle cose. Mi piace pensare di essere una somma di piccole cose, come direbbe uno dei miei cantautori del cuore, Niccolò Fabi. La somma di cose come il vivere qui, nella mia Bari, città stupenda ma ancora poco capace di dare impulsi, artisticamente parlando, del calibro di quelli di altre città come Bologna, la mia seconda casa, o Milano e Roma. Eppure, noi cantautori ci stiamo lavorando, e questa è un’altra cosa che mi ha formato come artista e come persona: fare squadra. Trovo che qui al sud prendersi per mano e aiutarsi sia l’unico modo per sperare che le cose cambino: chiudersi nel proprio mondo e credersi i migliori non ci aiuterà.

Quali sono i tuoi progetti attuali e per il tuo futuro?

Ad oggi ho tutta la mia mente rivolta al mio singolo in uscita, “Ci hai mai pensato al Vietnam”. Sono davvero emozionata e non vedo l’ora di scoprire quello che succederà, proprio perché in passato ho potuto realmente constatare che basta anche solo aggiungere un piccolo tassello al puzzle, e le cose prendono forma, prendono più senso di quanto ce ne avessero prima. Col tempo, infatti, sto riuscendo sempre di più a visualizzare un’immagine definita di quello che sarò, ma sono una grande sostenitrice del fatto che ad ogni angolo ci possono essere sorprese, positive o negative che siano. Lo dico proprio perché fino a qualche mesa fa non avrei mai pensato che mi sarebbero potute capitare certe cose, come dividere palco e backstage con cantanti del calibro di Carl Brave, degli Eugenio in via di Gioia, dei Subsonica, Fast animals and slow kids e molti altri. Non so cosa succederà, ma sto cercando di mettermi l’elmetto e di tenermi pronta a tutto!

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso le tue canzoni?

Come dicevo prima, penso di essere somma di alcune cose che mi hanno profondamente formato che, inevitabilmente, emergono quando scrivo. Se proprio dovessi trovare un fil rouge che tenga unite un po' tutte le mie canzoni, credo che questo sarebbe individuabile in una crescita personale, di cui parlo spesso ironicamente o con, pirandellianamente parlando, un sorriso amaro. A volte, invece, sono davvero seria e ne parlo commossa. Ma fondamentalmente, che ne parli in un modo, o in un altro, dalle mie canzoni credo emergano sempre una presa d’atto di quel che è stato il passato, e uno sguardo a quello che sarà il futuro. Del mio vissuto, per esempio, sono certamente diventate canzoni le mie esperienze adolescenziali, le mie relazioni andate a male, le prese per i fondelli, i momenti in cui mi hanno fatto credere di non essere abbastanza, lo sclero preesame. Bene, questo era il passato: una volta che ne ho cantato, si va avanti. Quando ci penso, ricordo perché ho cominciato a scrivere: semplicemente per sentirmi meglio e sfogarmi, per poi ricominciare.

Riguardo la diffusione della musica inedita. Quali sono le difficoltà per un artista che vuole proporre la propria musica ai locali, club, eventi live?

Sebbene oggi sia molto più facile proporre la propria musica tramite canali di diffusione indipendente o, con qualche euro e una buona dose di personalità, si possa sponsorizzare i propri lavori sui social, rimane comunque il problema di come uscire dalla propria stanzetta e, effettivamente, calarsi in una dimensione partecipativa, che è la cosa certamente più bella della musica, oltre che la cosa più autentica, poiché in quel momento non si è abbelliti da fronzoli, filtri, video da milioni di euro e visualizzazioni. L’artista è su un palco, davanti a gente che canta le sue canzoni: è come trovarsi nudi, vi assicuro. Ma, purtroppo, soprattutto al sud, non è facile proporre un proprio live: lo diventa quando il tuo nome comincia a circolare, ma comunque, chiunque tu sia, spesso ti chiedono di portare, più che la tua musica, gente che riempia il locale. Capita che un musicista si impegni, quindi, più a capire chi invitare e come spingerlo a venire, o a fargli mettere likes, piuttosto che a studiarsi la scaletta. Nel panorama musicale che vorrei, certamente immaginerei più occasioni, più palchi, locali gremiti di gente realmente intenzionata ad ascoltare musica emergente e, perché no, più valorizzazione anche dal punto di vista economico: questo perché è davvero un pericolo pagare l’artista, specie se emergente, sempre in sola visibilità.

Autoproduzione oggi. Qual è la tua visione?

Penso sia un’arma fondamentale e, tra l’altro, alla base della rivoluzione musicale odierna: una rivoluzione di cui vado fiera e di cui mi sento parte, avendo fatto tutto da sola. Io non credo che oggi si sia abbassato il livello musicale: trovo, semplicemente, che si siano diffusi i canali di produzione. Oggi si può fare la rivoluzione anche partendo da un garage: come, però, allo stesso tempo, è possibile che anche una persona oggettivamente meno portata, si intestardisca a voler fare il musicista solo perché sono più facilmente accessibili i mezzi con cui farlo. È un dato di fatto.

Quali sono i pro e i contro del web e i social nell’attività di un artista?

Un po’ come per l’autoproduzione, il crearsi un “personaggio” e cercare di studiarsi un personalissimo appeal con cui presentarsi al proprio – eventuale – pubblico, può avere risvolti positivi e negativi. Io, per esempio, ai social devo davvero moltissimo. È solo grazie ai social se sono salita su certi palchi, proprio perché grazie al calore del mio pubblico, sono riuscita a totalizzare un certo numero di likes, views e impressions che hanno fatto parlare di me nella mia Bari – mi riferisco perlopiù alle recenti esperienze del Luce Music Festival e dell’Alibi summer fest. Una cosa bellissima dei social, inoltre, è il far sentire la gente vicina, anche se non ci si conosce affatto o se ci si conosce poco: una conversazione e via, se vengo nella tua città a suonare, ci abbracciamo. È così che mi sono fatta conoscere anche altrove: mi piace pensare di potermi fare nuovi amici, di vedere cose nuove nel mondo. Non riesco mai a scindere l’aspetto umano da quello lavorativo. Riconosco che, però, un lato negativo può essere certamente il fatto che, spesso, ci concentriamo troppo su come vogliamo apparire, dimenticandoci che siamo artisti e non fashion bloggers. Un cantante che, per fare esempio, sponsorizzi costantemente sui suoi canali bevande detox, per me dovrebbe tornare a veicolare contenuti artistici o dovrebbe rivedere la propria concezione di sé stesso. Sarò abbastanza rude, ma la vedo così.

Come vedi il futuro della musica?

Penso che siamo solo all’inizio di una grande e importante rivoluzione, sotto tanti aspetti. Ci si sta aprendo a una visione più articolata, in senso buono: immagino un futuro di lavori importanti, oltre che una valorizzazione dell’artista italiano anche a livello più ampio. Per concludere, penso che l’indie morirà, se non è già morto. Abbiamo definito tale, un genere di musica che riprende suoni vintage di matrice anni settanta, in cornice a parole di tristezza mascherata, spesso, da ironia. Ma tutto questo solo a me riecheggia artisti del calibro di Battisti, Tenco o Dalla? Ecco, trovo che sia questa la bellezza della musica moderna, sebbene a volte incompresa, non capita o sottovalutata. La differenza che io, personalmente, ritrovo tra la musica del passato e quella di oggi, è semplicemente – e spaventosamente – la fungibilità: io non credo, infatti, che parte – e sottolineo, parte - della musica di oggi sia inferiore a quella del passato per i suoi contenuti; ma che, spesso, lo sia per l’incapacità di resistere al tempo. Questo perché, per una malata e sovraffollata concezione odierna della musica, un artista più fa, meglio è; più produce, meno rischia che gli altri lo superino: gli artisti, un tempo, si prendevano anche anni per scrivere un album. Vorrei, un giorno, rivedere questo ritorno ad un’anti mercificazione della musica. E sono tremendamente curiosa di scoprire quali canzoni di oggi, in futuro, avranno la concreta capacità di resistere nel cuore, nella testa, nel fischiettio della gente che va a lavoro, in macchina, nei libri di storia anche a distanza di anni.