Dario Marconcini, alias Watcher of the Trees, ha pubblicato il suo ultimo lavoro “Fireflies in the Wood”. Da sempre sostenitore della musica originale, ritiene che le etichette discografiche dovrebbero investire maggiormente sugli artisti giovani e poco conosciuti.
Quali sono state le esperienze che ti hanno maggiormente formato?
Ho iniziato a scrivere testi nei primi anni ‘80. Volevo riuscire a dare voce a tutte le parole che avevo da dire. Cercai di imparare a suonare la tastiera ma i risultati non furono incoraggianti. Acquistai anche dei registratori e iniziai a provare sovrapponendo dei suoni. Devo ammettere che nelle prime registrazioni vocali ero stonato come un coyote che ulula alla luna piena! Allora ci rinunciai, dopo aver speso una fortuna in tutte quelle apparecchiature e tante ore di lavoro per imparare ad usarle. Feci invece le mie prime esperienze come tecnico del suono per alcune band locali. Nel 1986 con un amico fondai “The Electric Shields” e divenne subito una cosa seria. In un anno le nostre canzoni furono pubblicate su diversi dischi. Finalmente qualcuno credeva in ciò che scrivevamo! Nel 1992, dopo 6 anni, lasciai la band per formare un nuovo gruppo con l’intento di studiare e suonare dal vivo la musica irlandese, i “Moonshiners”. In tre anni facemmo più di 90 concerti. Ero esausto e decisi di lasciare la band e prendere una pausa. Di recente ho realizzato il mio progetto da solista con lo pseudonimo “Watcher of the Trees”.
Hai pubblicato un concept album dal titolo ‘’Fireflies in the Wood’’. Ce ne vuoi parlare?
“Fireflies in the Wood” è il nuovo lavoro discografico su cui ho lavorato negli ultimi tempi. Segna il ritorno, dopo molti anni, alle mie origini: scrivere canzoni. Ne ho sentito il bisogno, l’urgenza. Ho percepito questo momento incantato e lo ho accolto come un segnale che mi ha dettato le parole che hanno espresso le mie emozioni e sensazioni. Ho trascorso molto tempo a San Giovanni al Monte nella mia casa di montagna a stretto contatto con la natura, passeggiando tra i grandi alberi nei boschi silenziosi e lentamente ma con forte energia, i pensieri e le visioni si sono trasformate in musica e canzoni, quelle che nascono dal cuore e crescono giorno dopo giorno grazie ad un attento e minuzioso lavoro di ricerca. La bellezza del luogo mi ha evocato un mondo immaginario dove i protagonisti sono gli alberi secolari i quali osservano gli esseri umani che attraversano il loro tempo come piccole luci, ma splendenti e piene di cose meravigliose. Lo ho suddiviso nelle quattro stagioni: primavera, estate, autunno ed inverno a rappresentare in forma di metafora le fasi della vita di una persona: infanzia, giovinezza, maturità e vecchiaia. Ogni stagione a sua volta contiene tre canzoni aventi l’arduo compito di descriverla. Per riassumere quindi, il lavoro descrive l’arrivo nel mondo materiale (inizio del bosco) di un essere umano rappresentato dalla propria nascita, la crescita e le vicissitudini dei sentimenti che si susseguono nel vivere quotidiano fino ad arrivare alla fine del “viaggio” (uscita del bosco) con finale aperto all’interpretazione. In questo lavoro ho messo, senza riserve, tutto il mio vissuto musicale mutuato da più di quaranta anni di ascolti di vario genere e di musica attiva composta e suonata. A sottolineare questo, ho curato gli arrangiamenti, le liriche e la produzione dei brani minuziosamente, inserendo volutamente citazioni musicali e letterarie ad omaggiare musicisti e scrittori che mi hanno deliziato lungo il cammino. Il disco, pubblicato in lingua inglese, ha nel libricino tutti i testi stampati con traduzione a fronte in italiano. Allegato al disco inoltre c’è il racconto breve: “L’Albero e la Stella”, storia scritta inizialmente per i bimbi.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Al momento sto promuovendo l’album prevalentemente in rete, non sono in programma concerti. L’intento iniziale era di fare una trilogia in cui Fireflies in the Wood rappresentava “il viaggio interiore” e quindi per il futuro dovrebbe arrivare il secondo a rappresentare “il viaggio esteriore” per finire con il terzo “l’uomo nel nuovo mondo digitale”. Si vedrà!
Quali sono stati gli artisti che ti hanno influenzato nella tua carriera musicale?
Feci amicizia con un compagno a scuola. Aveva uno stereo spettacolare con grandi casse. Trascorrevamo giornate intere ad ascoltare ripetutamente bellissimi dischi neri in vinile. Le canzoni erano completamente diverse da quelle che sentivo normalmente per radio, in camera mia. La musica inglese e americana che ascoltavamo era fantastica. Quella musica mi avrebbe cambiato per sempre. Presi letteralmente una “cotta” per i Genesis! Gli altri ascolti erano: King Crimson, Pink Floyd, Van Der Graaf Generator, Jethro Tull, Yes, poi i gruppi della Canterbury Scene, Hendrix, gli Stones e i Beatles. Eravamo alle scuole medie! Ascoltavamo anche musica italiana cantautorale da Eugenio Finardi a Guccini (il primo concerto che vidi… a 12 anni) a De Andrè, Ivan Graziani e Angelo Branduardi. Poi arrivarono gli anni 80 e finalmente comprai uno stereo tutto mio e subito dopo una breve pausa punk cominciai ad interessarmi anche di new wave con Ultravox, Simple Minds, Talk Talk, etc. La seconda “cotta” che mi presi fu per Peter Gabriel e David Sylvian. Durante il periodo che suonai negli Electric Shields ascoltai molto neo-garage punk e folk-rock e dopo avere formato i Moonshiners feci un passo a ritroso alle radici della musica folk studiando la musica tradizionale irlandese, periodo che durò 10 anni. Concludendo si può dire che ho ascoltato negli ultimi 45 anni molti generi diversi senza però mai abbandonare il mio primo amore, cioè la musica inglese degli anni 70.
Cosa pensi del panorama musicale attuale? La musica originale di oggi può essere considerata di qualità?
Penso che se si cerca attentamente si possono sicuramente trovare delle proposte musicali molto interessanti. Mi ricordo la folgorazione che provai quando sentii, quasi 20 anni fa, i Sigur Ros che seguo ed ascolto anche oggi sempre con stupore. Mi garba anche il neo-progressive proposto dalle etichette Kscope ed Inside-Out. Ultimamente mi hanno molto impressionato i Sanguine Hum. Le nuove tecniche di registrazione offrono a molti artisti la possibilità di registrare con costi contenuti e quindi c’è molta “roba” in giro e seguire tutto è molto difficile ed impegnativo. Si, io sono un sostenitore della musica originale. Non mi interessano le cover band e tanto meno i cloni. (Sebbene non ho resistito a vedere il concerto dei The Musical Box: cloni dei Genesis). Quindi le etichette discografiche (irraggiungibili) dovrebbero rischiare un po’ di più ed investire sui giovani che producono musica originale. La Musica originale di qualità c’è! Basta cercarla.
Quali sono i vantaggi del web e i social per avviare una carriera musicale?
Credo rappresentino una strada per far conoscere i propri progetti. Non ritengo siano sufficienti per cominciare una carriera da professionisti, salvo in alcuni casi e prevalentemente per la musica da “Teenager”. Insisto che le case discografiche dovrebbero essere più coraggiose e anche più rispettose verso gli artisti sconosciuti o che tentano di intraprendere una carriera rispondendo almeno (anche in forma negativa) alle mail o alla ricevuta dei dischi presso le loro redazioni. Questo vale anche per la stampa specializzata.
Come vedi il futuro della musica?
Sto osservando con molta curiosità il cosiddetto ritorno del vinile. Lo considero una cosa buona ma penso che sia per Persone un pochino avanti con gli anni. Un aneddoto: nel mio disco ha suonato la chitarra un ragazzino di 16 anni. Gli ho spedito il disco (CD) e mi ha risposto che non aveva il CD player! Quindi penso che i supporti andranno scemando e dovremo, ahimè, accontentarci con un briciolo di tristezza della musica “liquida”. Vedo però molto bene la rinascita dei concerti dal vivo, ma anche qui solo per artisti già navigati e sotto contratto discografico. I piccoli concerti nei locali costano troppo agli esercenti e gli artisti emergenti non hanno lo spazio che meritano.