Mauro Fuggetta, nome d'arte GABYLO, è nato a Sestri Levante, in provincia di Genova. Figlio degli anni '60, è cantautore e interprete di matrice rock e suona per decenni generi musicali come new wave, hard rock, heavy metal, ma anche pop, dance e musica leggera. Gabylo ha fatto parte di numerosi gruppi nel corso della sua carriera, partecipando anche a tour e concorsi musicali. In questo panorama musicale piuttosto affollato, le sue ispirazioni si sono rivolte più recentemente a una musica più leggera, con l'inizio del suo progetto solista.
In occasione dell'uscita del suo ultimo singolo "L'amore malato", l'abbiamo intervistato per scoprire le sue prime volte legate alla musica:
La prima canzone di cui hai dei ricordi?
Ero un ragazzino degli anni 60, frequentavo le scuole elementari. Le prime canzoni le cantavo a scuola, e nella parrocchia della chiesa, guardavo la tv in bianco e nero. Ascoltavo le canzoni di Massimo Ranieri, il mio ricordo di quei tempi, dove in maniera spensierata passavo le mie giornate a scuola, casa, e tirando due calci al pallone, avendo poco, che era già tanto, non mi annoiavo mai, ero sempre felice e contento.
Il primo poster che hai appeso in cameretta?
Ne ho avuti diversi appesi in camera: Ultravox, The Cure, Sex Pistols… uno importante riguardava il gruppo Punk Rock dei The Clash, mi ero fatto fare un poster che ritrae la copertina del disco LP, London Calling, nella posa rimaneva chinato sul palco, il bassista della band, Paul Simonon, distruggeva il suo strumento sul palco del famoso club Palladium di New York. Ancora adesso conservo quel vinile, con quei brani meravigliosi.
Il primo strumento che hai avuto?
Ero un ragazzino di 12 anni, me lo ricordo ancora come se fosse ora: mi era stata regalata una batteria acustica, di una marca sconosciuta, completa di tutto. Pestavo dalla mattina alla sera rompendo le scatole al vicinato, abitavo in un condominio, con mio fratello di 14 anni, che suonava la sua prima chitarra elettrica, anche questa di marca sconosciuta.
Il primo brano che hai scritto e cosa ne pensi di lui adesso?
Ne ho diversi scritti in quel periodo, si parla del 1988/1990, il brano si chiama: Mille Colori, che non ho mai pubblicato. Si tratta di una storia vera, autobiografica, riguarda la mia malattia. Cosa ne penso: che ho fatto bene a scriverlo e a musicarlo, mi è servito a capire come uscire da quel bruttissimo periodo. Nella vita può succedere di tutto, e le cose non vanno sempre per il verso giusto, ci crediamo invincibili, forti, invulnerabili e invece siamo deboli, fragili, e pensiamo che non ci possa mai capitare nulla.
La prima critica negativa che hai ricevuto e come ti ha influenzato?
L’ho affrontata come una critica costruttiva. Premessa: io a quel giornalista non gli piacevo proprio, né come canto né come musica né come genere, lui diceva che però non essendo di suo gusto, ascoltava un genere di nicchia, la mia musica poteva funzionare per un pubblico più leggero e dal consumo più facile. Mi è servita la critica a migliorare in meglio cercando di musicare e scrivere brani meno tormentoni e altri impegnativi.
Il primo concerto a cui assistito?
24 Luglio 1979, proprio qui dalle mie parti dove sono nato. Avevo 14 anni, Campo Sportivo di Sestri Levante, (GE), era un concerto dei Rockets. Mi ricordo uno spettacolo di luci laser e scenografie meravigliose, con la band con i loro costumi spaziali, un genere space rock dalle venature fantascientifiche dei testi, per le sonorità elettroniche e per l'aspetto scenico, molto avanti quel tipo di spettacolo, di un livello superiore ad altri gruppi di quel tempo, unici.
La prima volta che hai suonato dal vivo?
Avrò avuto 14 anni, è stato il mio primo live, in un locale all'aperto. Ricordo tantissima gente, in un gruppo formato da 5 elementi: Basso, Chitarra, Batteria, Voce,Tastiere. Cantavo come cori e suonavo la batteria, facevamo cover di musica leggera e brani in inglese. Ricordo una certa emozione, tensione, ansia, paura di sbagliare, che poi e andata scemando con il passare dell'esecuzione dei brani, acquistando una certa sicurezza. Ancora adesso dal vivo provo sempre una grande emozione, controllata da una certa sicurezza.