Disponibile su tutte le piattaforme da venerdì 5 aprile 2024 il nuovo album del progetto Dropout dal titolo "Sulla fine delle cose". Un disco intimo, forse al principio straniante, da scoprire ascolto dopo ascolto: 10 pezzi apparentemente facili per tempi notoriamente difficili. Un profondo e denso percorso introspettivo sul tema della fine delle cose. Atmosfere cariche di nostalgia per quegli eventi lontani nel passato che hanno contribuito alla costruzione di sé. Eventi che si odiano per la loro brutalità ma contemporaneamente, con il passare del tempo, si cominciano ad amare, non senza malinconia (ma mai tristezza), perché facenti parte della propria formazione. Musica suonata, spesso improvvisata seguendo il flusso, senza l’egida del metronomo, a volte perfino senza percussioni, scarna fino all’osso, alternata a pezzi ricchi di strumenti, più disciplinati e complessi. Metriche tendenzialmente bisillabiche dunque ardue e sperimentali per un cantato in lingua italiana, bassi tellurici “808” presi in prestito dalla cultura Hip Hop, niente effetti speciali, nessuna rete di sicurezza tessuta con l’Autotune, melodie fondanti che come illusioni paiono echeggiare qualcosa dietro la curva dei ricordi ma che in realtà non assomigliano a niente di già sentito. Musica contemporanea che esplora puntando avanti senza voler per forza spezzare il dialogo con il passato. Parole cesellate e potenti, che si insinuano e che rimangono impresse.
E anche se in questo disco si parla di fine, noi abbiamo provato a conoscere meglio il progetto musicale di Dropout attraverso un'intervista incentrata, invece, sul tema degli inizi:
La prima canzone di cui hai dei ricordi?
Sembra una storia romanzata, ma quando mia madre era incinta di me, i miei ascoltavano spesso “The Dark Side of the Moon”, allora uscito da poco. C’era un bell’impianto nel mobile ad angolo tra i due divani di spugna marrone che dominavano il soggiorno di moquette gialla e pareti verdi. L’impianto stereo Hi-Fi di famiglia è una cosa bella che oggi abbiamo praticamente perso a favore di ascolti più ridotti o addirittura personali. In ogni modo i miei dicono che certe serate capitavano ascolti di gruppo in quadrifonia, come si conveniva a quel tempo. E a quanto pare il volume sostenuto della musica mi faceva scalciare in pancia. Sta di fatto che, una volta cresciuto quel minimo da avere un vago senso di coscienza, mi ricordo di essere rimasto immobile di fronte al giradischi per un bel pezzo, come mesmerizzato da quel disco per me nuovo, ma inspiegabilmente familiare. Non saprei isolare una canzone ben precisa. È proprio tutto il disco che ancora oggi suscita in me moti interiori che vanno oltre i ricordi terreni. Il primo pezzo che ricordo “da già nato”, invece, credo sia “Ma come fanno i marinai” di Dalla-De Gregori, che al periodo era ubiquo alla radio. E mi piaceva canticchiarlo assieme a mia madre, mentre faceva le faccende di casa. Io la seguivo come un’ombra.
Il primo poster che hai appeso in cameretta?
Lo avevo trovato nel Topolino o nel Corrierino dei Piccoli, come omaggio: il poster del film “Chi trova un amico trova un tesoro” con Bud Spencer e Terence Hill. L’ho voluto far appendere alla porta della stanza perché mi faceva divertire il fatto che Bud Spencer tenesse con un braccio un capo delle loro amache. La classica assurdità, contro ogni legge della fisica, che attira un bambino di quell’età. Il primo oggetto musicale appeso al muro, invece, è stata una bandana con una frase e logo dei Litfiba, comprata fuori dal concerto del tour di “El Diablo”. Ovviamente il mio primo concerto rock dal vivo: “Giro di notte con le anime perse, sì della famiglia io sono il ribelle”.
Il primo strumento che hai avuto?
È il febbraio del 1990, compleanno di mia madre e il suo gruppo di amici dei “bagordi del weekend” le regala la chitarra classica Admira modello Monica. Chiaramente non era per lei dato, che non sapeva nemmeno tenerla in mano, ma per un paio di amici abituali che erano molto bravi a suonare, e che erano davvero stufi di portarsi appresso, ogni volta, la loro chitarra da casa. Inutile evidenziare che quello è sato l’evento scatenante della nascita, allora inconsapevole, di Dropout.
Il primo brano che hai scritto e cosa ne pensi di lui adesso?
Ho sempre amato scrivere, soprattutto poesie, quindi era inevitabile che prima o poi musica e testo si incontrassero. Stavo strimpellando a caso quei quattro accordi che conoscevo e sotto mano avevo un foglio con “Immagini”, una mia poesia che poi ha dato il titolo al mio primo pezzo composto. Penso che sia ancora uno dei pezzi più belli e puri che abbia mai scritto e probabilmente anche uno dei primi ad essere registrato nel 1993 se non erro. È interessante riascoltarsi dopo tutto questo tempo, è come sentire qualcun altro e non sé stessi… fa strano.
La prima critica negativa che hai ricevuto e come ti ha influenzato?
Sempre attorno il ’93-‘94, ascoltando una mia proto-registrazione (su “computer a manovella”, con un software improbabile, tramite una scheda audio altrettanto imbarazzante) un amico esperto (& paziente) mi disse “non male però dovresti applicare un po’ di compressione alle tracce e al canale master”. Io non avevo la minima idea di cosa stesse dicendo, però quel commento ha suscitato in me quella curiosità verso la scoperta e l’affinamento delle tecniche di registrazione e missaggio che ancora oggi permane 30 anni dopo. Non si finisce mai di imparare.
Il primo concerto a cui hai assistito?
Come già scritto “El Diablo” dei Litfiba, nel 1991. Però, in realtà, prima avevo già assistito a concerti di gruppi scolastici dei miei amici più navigati. Per intenderci, roba molto più seria, perlopiù Hardcore, Metal, proto-grunge o Hip-Hop. In quel periodo vivevamo di pane e musica impegnata.
La prima volta che hai suonato dal vivo?
Credo sia stato al campeggio, al mare, per il 15 agosto del ’95. Avevo appena comprato lo spartito con tutto il disco “Unplugged” dei Nirvana e un mio caro amico, che cantava in un gruppo, vedendolo, mi propose di studiarcelo in una decina di giorni, in tempo per Ferragosto. Ci riuscimmo, e il piccolo evento “chitarra e voce” ebbe luogo di fronte a un gruppetto di amici, in spiaggia, attorno a un bel falò. E lo registrammo addirittura su audiocassetta. Giusto durante la scorsa pandemia, in uno di quei ben noti momenti in cui devi fare qualcosa sennò esci pazzo, ho riversato quella registrazione in digitale e l’ho restaurata, per poi, infine, mandarla a quelli che allora c’erano. È stato un momento davvero intenso e bizzarro perché non ci si vedeva e sentiva da moltissimo tempo, quindi ho dovuto ricalibrare la mia percezione verso di loro (e viceversa, immagino): da adolescenti ad attempati, nell’arco di un paio di messaggi su Facebook. Alcuni di loro avevano perfino dimenticato l’evento, nonostante nelle registrazioni fosse evidente il loro trasporto emotivo.
Invece, il primo concerto pagato, con musica propria e commissionata, è stato alla Fiera di Rimini, durante una sfilata di moda, nel 2001 se ricordo bene. Fu fortunatamente un successo.