Bluedaze è una band italiana. Il disco di debutto s'intitola "Skysurfers".

Com'è nata la vostra band? Che musica fate?

Ciao e grazie mille per la proposta d’intervista! I Bluedaze nascono ufficialmente nel 2017, nonostante ci conoscessimo tutti da molto prima. Dopo alcuni mesi passati a scambiarci messaggi, video e meme in una chat WhatsApp ad un certo punto abbiamo deciso di prendere in mano gli strumenti e trovarci regolarmente in sala prove. Di lì a poco stavamo già lavorando ai brani del nostro primo disco “Skysurfers” che ha visto la luce il 19 Novembre 2020. Quando abbiamo iniziato a suonare insieme non ci siamo dati nessun limite di genere o sonorità, ma solo due direttive: divertirci e andare oltre i nostri limiti. In questo modo tutti hanno trovato il loro spazio sonoro all’interno della band, ma forse per lo stesso motivo facciamo ancora un po’ fatica a collocarci in un genere musicale preciso, ma potremmo sintetizzare tutto in un’unione di dream-pop e psych soul.

Quali sono state le tappe più importanti del vostro percorso musicale?

Decisiva è stata sicuramente la scelta di affidare la produzione del nostro album a Martino Cuman dei Non Voglio Che Clara, che ci ha aiutati a definire quello che - senza un briciolo di umiltà - chiamiamo il “The Real Bluedaze Sound”. Lavorare con lui è stato determinante per la nascita di “Skysurfers” a tutto questo si aggiunge poi l’esperienza di registrare a La Sauna New Recording Studio, un bellissimo studio sul lago di Comabbio, dove abbiamo trovato la situazione perfetta per lavorare ai nostri brani, tra poster di film anni ’70, strumenti vintage e tramonti pazzeschi. Ultimo passo, ma non meno importante, la pubblicazione di “Skysurfers” nel mezzo di una pandemia. Per noi rappresenta un’ulteriore conferma del fatto che “ Qualunque cosa succeda, si va avanti, sempre oltre i propri limiti”.

E' uscito il vostro disco di debutto "Skysurfers". Ce ne volete parlare?

Skysurfers è per noi una condizione mentale nella quale rifugiarsi ogni volta che ce n’è bisogno. Quanto può essere figo surfare il cielo? Secondo noi moltissimo. E poi c’entra con l’equilibrio, anche. Quell’equilibrio che ci sforziamo di trovare ogni giorno della nostra vita. Tra tutte le cose che gli altri si aspettano da noi, tra gioia e tristezza, tra luce e ombra, ecc. E’ proprio per questo che nelle 8 tracce di Skysurfers si possono scorgere tantissime sfumature emotive che a noi piace raggruppare in quelle che chiamiamo “due anime” del disco, una più noir e malinconica e una più groovy e solare.

Qual è il messaggio che volete comunicare attraverso le vostre canzoni?

Vogliamo provare a raccontare chi siamo, cosa ci piace e come pensiamo. Per noi la musica è un elemento fondante e fa parte delle nostre vite a 360°. E’ lo strumento che usiamo per conoscere il mondo e per rappresentarlo. Ci piacerebbe tantissimo se altre persone potessero riconoscersi in Skysurfers, apprezzarlo e surfare il cielo insieme a noi!

Ci sono degli artisti a cui vi ispirate per la vostra musica?

Ascoltiamo tutti moltissima musica, anche di generi molto diversi tra loro. Adoriamo le atmosfere dilatate di Lana Del Rey e dei Beach House, il songwriting di artisti come Big Thief, Curtney Barnett e Mac DeMarco, il groove dei Jungle, Parcels e Curtis Harding, o la psichedelia dei Tame Impala, Allah Las e Khruangbin. Ovviamente non perdiamo mai di vista anche i grandi classici: Blondie, The Doors, Pink Floyd e tanti altri..

Quali sono i pro e i contro dell'era digitale?

Dal punto di vista musicale tra i pro non possiamo non menzionare l’immediatezza nella creazione delle relazioni. “Parlare” con il proprio pubblico attraverso i social è estremamente facile, veloce e ti permette di avere feedback diretti sulla tua musica o sui contenuti che stai producendo o pubblicando. A questo primo elemento si aggiunge la possibilità di entrare in contatto con persone nuove anche fuori dall’Italia, il che, per artisti come noi che scrivono canzoni in inglese, è sicuramente una cosa bellissima. Dobbiamo dire che i meccanismi delle piattaforme digitali sono molto complessi, vanno studiati e analizzati e spesso necessitano di risorse economiche - ma non solo – per poter funzionare al meglio, e per un artista indipendente si tratta di un passo necessario ma molto impegnativo da fare. La lista di pro e contro potrebbe effettivamente continuare riguardando aspetti più tecnici, ma non vogliamo annoiarvi…

Cosa possiamo aspettarci per il futuro della musica?

Domanda davvero complessa, specialmente dopo il 2020! Come già detto prima per noi il processo di condivisione della musica è un elemento cruciale e se i nuovi media ci faciliteranno sempre di più in questo, ad oggi, gli sguardi sono tutti puntati a tornare a intrattenere relazioni dal vivo. Dalla saletta prove alle sessioni in studio, dai concerti nei baretti ai grandi festival internazionali. Se negli ultimi anni c’era stata una crescita importante - anche in Italia - di spazi e occasioni come quelle menzionate, non possiamo che credere e sperare che il processo non si fermi, e un anno come quello passato sia di riflessione e rinforzo. Sicuramente ci sarà bisogno di ripensarsi, sia come musicisti che come addetti ai lavori. C’è bisogno di modi nuovi per fare le cose di sempre. Vediamo cosa succederà!