Riccardo Inge è un cantautore milanese. ''Abbiamo preso l'influencer'' è il suo nuovo singolo.

Quali sono state le esperienze che ti hanno maggiormente formato?

Più che una sola esperienza, una scelta. Quella di partire dalla cosa secondo me più importante per un progetto musicale: suonare dal vivo e provare, provare e provare come se non ci fosse un domani. Ho iniziato all’interno di un box con il mio precedente progetto, e tuttora suono con la mia band ovunque ci sia una sala o un palco per ospitarci. La cosiddetta ‘gavetta’ che spesso si vuole saltare per fare prima, ma che alla resa dei conti fa la differenza nel momento in cui ci si trova ad avere un’occasione per emergere.

Hai pubblicato il tuo nuovo singolo ‘’Abbiamo preso l’influencer’’. Ce ne vuoi parlare?

Siamo tutti così schiavi dei social che sembra quasi una malattia. Da lì l’idea di giocare sulla parola ‘influenza’/’influencer’. Qualcuno pensa che la canzone sia un attacco proprio agli influencer: in realtà io mi riferisco a tutti quelli che, non sapendo cosa fare della loro vita (i cosiddetti ‘lazzaroni’), si svegliano un giorno e decidono di ‘fare l’influencer’ senza aver la minima idea di cosa voglia dire. Mi riferisco a quelli che vanno ai concerti e passano TUTTO il tempo a riprendere con il cellulare per condividere in diretta streaming. Cioè, praticamente sono fisicamente al concerto, ma lo stanno vedendo attraverso lo schermo. Purtroppo quest’ansia di apparire e di condividere qualsiasi cosa ci accade ci sta facendo perdere il gusto di viverci i momenti importanti della nostra vita.

Qual è il messaggio che vuoi comunicare attraverso le tue canzoni?

Mi piace sempre lasciare un messaggio nelle mie canzoni. Cerco di farlo anche nei miei video ufficiali, tanto che mi arrabbio quando vedo dei video di altri artisti che non danno alcun valore aggiunto al messaggio contenuto nella canzone. Inizialmente scrivevo in maniera molto introspettiva, cercando di raccontare le mie emozioni e pensieri attraverso un linguaggio a volte un po’ astratto. Ho cercato negli anni (e soprattutto con le ultime canzoni) di evolvere e provare ad associare sempre un’emozione a un’immagine, come se chiunque potesse non solo provare, ma anche vedere quello che racconto attraverso episodi di vita quotidiana che tutti viviamo. In “Abbiamo preso l’influencer” inizio cantando ‘Sarebbe bello se tornassimo ad ascoltare Battisti’ perché quante volte, parlando della musica di oggi, abbiamo pensato a questa cosa? Non sono messaggi positivi o negativi; cerco, in realtà, di fotografare quello che vedo e che vivo, trasformandolo in una canzone in cui chiunque possa riconoscersi.

Quanto conta secondo te la passione, la costanza e la motivazione per avviare una carriera musicale?

Sono la benzina che alimenta la possibilità di raggiungere un risultato. Non sono la garanzia per una carriera musicale, ma sono una condizione imprescindibile per poter iniziare anche solo a parlarne. Mi ripeto spesso in testa la frase attribuita a diversi personaggi famosi “A volte il vincitore è semplicemente un sognatore che non ha mai mollato”. Ed è la verità, anche se bisogna avere davvero tanta forza per non mollare il colpo quando si cerca di portare avanti un progetto musicale di inediti seriamente a causa delle mille difficoltà che un emergente deve affrontare tutti i giorni.

Com'è il tuo rapporto con il web e i social?

Combattuto. Da una parte ne sono affascinato per l’incredibile quantitativo di informazioni scambiabili istantaneamente e di persone con cui si può interagire. Mi piace usarli per avere un contatto diretto e senza filtri, oltre che cercare di capire le logiche del marketing via web. Dall’altra parte sono una vera e propria droga/malattia (non a caso ne ho fatto una canzone). Sembra quasi che se non sei presente su un social non esisti nella realtà. Un paradosso. Purtroppo sono spesso il primo ad abusarne e a volte penso che avrei bisogno di disintossicarmi.

Ci sono abbastanza opportunità live per gli artisti?

La scena live è molto complicata. Vive a compartimenti: c’è chi si rimbocca le maniche e si cerca le date da solo ovunque, che sia un super club o una mini birreria sperduta, c’è chi fa tre eventi all’anno (ma di buon valore/prestigio) e chi prova ad appoggiarsi ad alcuni organizzatori di tendenza del momento per entrare ‘nel giro’ di chi fa suonare in locali dove da solo non ci puoi arrivare. Sicuramente le opportunità sono aumentate negli ultimi anni (almeno per quanto riguarda la scena milanese che posso dire di conoscere abbastanza), anche se ancora troppo spesso molti locali basano la musica live sui fans dell’artista o, peggio, sugli ‘amici’ che puoi portare al locale. Credo invece che gli eventi si facciano insieme ed è necessario il massimo impegno del locale (oltre che sicuramente dell’artista) per poter promuovere una serata adeguatamente ed essere tutti soddisfatti.

Come vedi il futuro della musica?

Sempre più digitale, ma ancora suonata, sia nei live che in studio. Puoi campionare tutti i suoni del mondo, ma non riuscirai mai ad eguagliare uno strumento reale suonato dal vivo. Una musica che ancora parte dalla pancia, dall’istinto, dal genio e non a tavolino su cui frullare un mix delle cose che tirano oggi solo per arrivare a un’effimera pseudo notorietà. Spero un domani di non rimanere tra i pochi a pensarla così.