Unibrido Band è un duo Alternative Rock abruzzese. Il loro primo album s'intitola "P.I.G.S.", da cui è estratto il singolo "Non c'è più tempo".
Com’è nata la vostra band? Che musica fate?
La nostra band è nata come nascono tante cose che facciamo nella vita: per istinto. Una forte spinta interna ci ha “costretti” a creare questo progetto musicale. Abbiamo solo obbedito agli ordini (siamo abituati a farlo nella vita).
Possiamo definire la musica degli Unibrido in maniera molto semplice: Rock. Ovviamente fatto a modo nostro, con una ricerca sonora e lìrica libera e totalmente soggettiva.
Quali sono state le esperienze che vi hanno maggiormente formato?
Musicalmente parlando ci siamo formati suonando cover nei locali e nelle piazze abruzzesi.
Amiamo il blues psichedelico degli anni settanta, lo stoner e il grunge ma anche la grande musica d’autore italiana e l’alternative rock nostrano. La musica degli Unibrido nasce da questa particolare miscela culturale.
Ci parlate del vostro ultimo album P.I.G.S?
‘P.I.G.S.’ è un album di otto brani prodotto grazie a Luigi Caprara del Lunchbox Studio e pubblicato alla fine dello scorso anno. Un disco scritto e registrato senza starci troppo a pensare. Le tematiche, però, sono profonde e meditate: alienazione e omologazione sociale, dittature economiche e scientiste, crisi esistenziali e svolte antropologiche.
‘P.I.G.S.’ è il simpatico acronimo usato fino a qualche anno fa per indicare gli Stati europei ‘spendaccioni’ del Mediterraneo.
La disastrosa situazione macroeconomica di questi mesi sta facendo finalmente aprire gli occhi a molti su chi siano gli avvoltoi seduti nelle istituzioni dell’Unione europea: gli equilibri già precari potrebbero esplodere da un momento all’altro, staremo a vedere.
I nostri Pigs hanno anche una chiave di lettura politica: l’idea dei maiali di Orwell che prendevano il potere nella fattoria degli animali trasformandola in una dittatura grazie alla menzogna ci fa tanto pensare allo scenario attuale. Ma il maiale può essere ognuno di noi in questo porcile psicotico che è la società in cui viviamo, dove tramite la paura e la pubblicità permettiamo al potere 'democratico' di commettere le peggiori nefandezze.
Quanto conta secondo voi la passione, la costanza e la motivazione per avviare una carriera musicale?
Probabilmente sono fattori imprescindibili. A questa triade, però, sarebbe doveroso aggiungere almeno un pizzico di un quarto elemento importantissimo: il coraggio. Ovviamente non intendiamo essere dei William Wallace, ma è indubbio che tentare di intraprendere una carriera musicale in Italia e in un momento storico come questo può far nascere nelle persone più vicine atteggiamenti di sfiducia, sospetto o derisione. Ovviamente sono reazioni psicologiche inevitabili che potrebbero mettere a dura prova l’ambizione di chi sogna quello che ancora non esiste. Serve un po’ di audacia per superare il peso dei pregiudizi ed evitare di venire risucchiati nel vortice dell’alienazione quotidiana in cui vivono tutti quelli che non riescono a guardare oltre l’esistente.
Qual è il messaggio che volete trasmettere attraverso le vostre canzoni?
Le canzoni degli Unibrido parlano in maniera più o meno diretta della nostra esperienza del vivere. Sono dei piccoli spaccati di vicissitudini sociali, personali e trascendentali. Ovviamente non abbiamo nessuna soluzione ai mali del mondo né tantomeno ai problemi esistenziali, dunque cantiamo per esorcizzarli come Nietzsche ordinava alla sua anima di cantare piuttosto che sfogare nel pianto la tristezza. Siamo fatti così, siamo umani.
Autoproduzione oggi. Qual è la vostra visione?
Come tutte le opportunità di esprimersi ha i suoi punti di forza e le sue lacune. Senza gli straordinari avanzamenti nel campo della tecnologia non saremmo mai riusciti a produrre la nostra musica, specialmente in un territorio che offre scarsissime possibilità a chi si cimenta in campi creativi. Ovviamente il panorama dell’autoproduzione oggi è immenso e farsi ascoltare da un ipotetico pubblico diventa complicato, ciononostante andiamo avanti fiduciosi nelle nostre capacità e nella voglia di evolvere.
Com'è il vostro rapporto con il web e i social?
Diverse volte abbiamo descritto i social come dei mali necessari, ma forse perché venendo da una concezione più “diretta” di condivisione, ci risulta sempre un po’ difficile gestire rapporti “digitali” senza un minimo di diffidenza. Anche qui vale lo stesso discorso dell’autoproduzione: è uno e a volte l’unico mezzo per promuovere contenuti (senza il web non avremmo fatto questa deliziosa chiacchierata).
Il mondo va verso una direzione a cui cerchiamo di adeguarci nella maniera più intelligente possibile, anche se restiamo testardamente convinti che il modo migliore per veicolare musica sia quello “diretto” dell’esperienza dal vivo. Non possiamo permetterci di perdere questo modo di relazionarsi. Sarebbe un danno sociale irreparabile.
Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro della musica?
Non ne abbiamo la più pallida idea. Nessuna certezza, solo speranze. Una di queste è che nei prossimi anni si sviluppino maggiori spazi per quelle poche realtà rimaste in Italia che hanno ancora un’idea di musica slacciata dal marketing a tutti i costi. Fino a che la creatività resterà aggrappata solo ed esclusivamente alle logiche del mercato non usciremo dalle secche in cui la cultura italiana e la musica in particolare è impantanata da decenni.