Michele Monina è critico musicale, direttore artistico, e scrittore. Ha scritto più di 70 libri, e quotidianamente scrive per il web. Insomma la scrittura è il suo pane quotidiano, come anche la musica di cui ha una visione ben chiara. La sua scommessa? sono le donne cantautrici.

Sei scrittore, critico musicale, giornalista. Cosa è cambiato nel tuo lavoro dall'inizio della tua carriera fino ad ora?

Ora, partendo dal punto fermo che non sono un giornalista, per scelta, nonostante scriva per giornali e magazine da oltre venti anni, direi che è cambiato moltissimo. Quando ho cominciato internet era una cosa per pochi, e ovviamente non esistevano i social, quindi scrivere equivaleva a fare un lavoro di isolamento, che non prevedeva se non sporadici incontri con i lettori. Oggi scrivo esclusivamente per la rete, almeno come critico musicale, e anche quando pubblico libri ho un contatto diretto coi lettori attraverso i social, quindi il mio lavoro è diventato non solo quello di divulgatore, ma in qualche modo anche di intrattenitore. Perché scrivere al tempo dei social, nell'epoca del “uno vale uno”, comporta avere a che fare con chiunque ritenga necessario farti sapere il suo punto di vista, e perchè ovviamente anche il lavoro di critico musicale è diventato decisamente diverso. Venti anni fa, infatti, scrivevo recensioni o intervistavo artisti su lavori che i lettori avrebbero ascoltato solo in seguito. Oggi mi ritrovo come tutti a scrivere di lavori che sono già disponibili, quindi più che raccontarli devo decifrarli e renderli decifrabili, e al tempo stesso devo provare a raccontare il sistema musica, quello sì ancora piuttosto sconosciuto ai più.

Il tuo ultimo libro s'intitola ''Contro la musica''. Qual è il messaggio principale che vuoi comunicare? Dove è possibile trovarlo?

Chiaramente il titolo racchiude un paradosso, perché il mio libro è un vero atto d'amore nei confronti della musica. È semmai il mio j'accuse nei confronti del sistema musica, mi ricollego a quanto detto prima. Un sistema che sta puntando a un profitto, per altro effimero e illusorio, finendo per togliere l'ultimo refolo di respiro alla oramai agonizzante musica contemporanea.

Cosa pensi del panorama musicale italiano attuale?

Appunto, penso che quello che viene abitualmente chiamato mainstream, tranne debite eccezioni che in realtà vivono più del loro passato e della potenza dei loro live che del presente, sia moribondo, se non già morto. Lo streaming ha spinto in vetta alle classifiche un gruppo di sconosciuti, tra trapper e alfieri del cosiddetto itpop, classifiche ridicole che mischiano streaming e fisico, finendo per dopare tutto. Ci sono perfetti sconosciuti che portano a casa decine di dischi d'oro e di platino per qualche giorno passato in heavy rotation, uso un termine antico, sulle piattaforme streaming, e ci sono artisti che per registrare un album impiegano anni, usando strumentisti, studi di registrazione, produttori e via discorrendo, che faticano a entrare in top 10. Una situazione evidentemente senza una via d'uscita. Per contro ci sono tanti artisti nel sottobosco, quelli che vivono in un sistema a parte, come i ribelli guidati da Neo in Matrix, che provano a andare avanti contro tutto e tutti, puntando all'arte. E in questo ci sono soprattutto cantautrici, di cui mi occupo quotidianamente con il progetto Anatomia Femminile, talmente fuori dal sistema da potersi permettere libertà che i colleghi maschi non osano ormai neanche sognare.

Cosa bisogna fare per diffondere maggiormente la cultura della musica originale in Italia?

Non ho una formula. Io ho deciso di adottare un atteggiamento radicale, estremo. Sono una sorta di Savonarola che bastona chi tiene comportamenti sbagliati, lasciami usare un po' di ironia, e cerca di evidenziare i meritevoli. Ma a parte le questioni di stile, dico che toccherebbe a tutti i critici musicali concentrare l'attenzione sugli artisti che non hanno venduto l'anima alla ricerca del click facile, e se per farlo è prima necessario distruggere quel che è oggi visibile, ben venga un po' di sana Apocalisse.

Quali sono i pro e i contro del web e i social nell’attività di un artista?

La rete in teoria ha reso il mondo della musica più democratico, sempre che la democrazia in musica sia auspicabile. Tutti hanno modo di farsi sentire, vedere, seguire. In realtà funzionano i vecchi sistemi, solo adeguati ai nuovi standard. Per cui per farsi sentire tocca diventare visibili, entrando in determinati giri. Oggi, quasi sempre, nelle famose Playlist di Spotify, corrispettivo di quelle che un tempo erano le Airplay radiofoniche o i video in rotazione su MTV, torno davvero molto indietro nel tempo. Io, essendo appunto un radicale estremo non uso Spotify e cerco di trovare il bello tra i tanti che quotidianamente, grazie ai social, certo, mi mandano album magari anche autoprodotti e autopubblicati. In questo la rete è davvero democratica. Anzi, ne approfitto, se mi seguite in qualche modo, o ritenete che possa essere utile che io ascolti quello che fate, quindi immagino se avete letto qualcosa di quel che scrivo quotidianamente, evitate di mandarmi in ascolto link di Spotify, non uso lo streaming per questioni ideologiche e religiose.

Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro della musica?

La musica per come la conosciamo ha i giorni contati. Potrebbe aspettarci un futuro senza più musica registrata, come in effetti era in passato, coi ricchi a chiamare i Mozart a corte per tenere i loro concerti, e il popolo a usufruire della versione povera della musica classica. Questo a voler essere pessimisti. Io credo che in realtà il bello vincerà sul brutto, e per questo torno a guardare con estremo ottimismo verso le cantautrici e le artiste donne. La bellezza non passa, e se per imporla toccherà passare per una rivoluzione, rivoluzione che per dirla con gli Assalti Frontali non può esserci senza rivolta, vorrà dire che faremo la rivoluzione.