Di Franco Presti mi ha molto colpito il suo modo di comporre le sue musiche con la chitarra. Già dal primo ascolto rimani "stregato" e non puoi farne a meno di ascoltarle di nuovo. Composizioni semplici, orecchiabili, che ti fanno emozionare da subito.
Una persona umile, che si è fatta da sola, e che ha la capacità di comunicare la sua passione e il suo amore per la musica. Non puoi non intuirlo!

Franco Presti 1

Com'è nata la tua passione per la musica?

E' nata con me. Ho sperimentato sin da piccolo questa inclinazione naturale che poi è diventata un lavoro. Ricordo che seguivo pochi cartoni in tv da bambino e il mio preferito era La Pantera Rosa, ma più che per il cartone, rimanevo attratto e distratto da quel capolavoro musicale di Henri Mancini che faceva da sigla e colonna sonora. Non tanto usuale per un bambino di 7/8 anni.

Hai studiato da autodidatta. Come hai sviluppato la tua tecnica chitarristica?

In maniera abbastanza anomala. Ho cercato "semplicemente" di capire il funzionamento dello strumento, di sondarne le voci possibili, di stamparmi nel cervello le geometrie della tastiera, trovare gli esercizi di tecnica che funzionassero bene sulle mie mani e tanto altro, tutto senza l'aiuto di nessuno. Occorre ricordare che erano tempi in cui non c'era internet, youtube, i social. In assenza di tali facilitazioni, studiare uno strumento e ottenere dei risultati era molto più complicato ed era frutto di grande volontà e disciplina. Questa condizione apparentemente svantaggiata, ci permetteva, però, di imbatterci in percorsi non usuali o comunque non omologati; rispetto ad oggi era più facile trovare una propria identità.

Ci sono musicisti che ti hanno influenzato?

Certo! Sarebbe assurdo e presuntuoso dire di non aver subito influenze. Conoscere il più possibile cosa c'è stato prima di noi è un passaggio imprescindibile in un percorso musicale (e in qualsiasi altro in realtà). Ho preso tanta ispirazione da molti musicisti; c'è chi ha influito sull'aspetto compositivo, chi sull'approccio all'arrangiamento e chi sull'intenzione solistica. Fare dei nomi diventa difficile perchè sono tanti, ma ne farò in particolare due, il cui contributo non è rintracciabile in modo evidente nella mia produzione per il semplice fatto che hanno influito più sul pensiero musicale che sulla tecnica o sul suono. Sto parlando di John Coltrane e Allan Holdsworth.

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Che consigli daresti a un giovane chitarrista?

Difficile dare consigli generici. Se si vuole lavorare tanto bisogna seguire la strada che porta a diventare turnista. Occorre sapersi destreggiare bene tra i vari generi e serve essere affidabili e puntuali (ovvero professionali) prima ancora che "bravi".
Oppure seguire a tutti i costi la propria inclinazione, se se ne ha una, e specializzarsi fortemente in qualcosa di specifico che arrivi nel tempo a caratterizzare la propria identità.
Nulla vieta di fare contemporaneamente ambedue le cose.

Nei tuoi primi anni di carriera ti sei dedicato soprattutto allo strumento, mentre ora anche anche alla composizione. Come mai?

La composizione c'è stata sempre. Sin dall'inizio mi sono visto come musicista prima che come chitarrista per cui ho convissuto con la necessità di "dire" qualcosa di mio in musica. Ho lavorato e lavoro tanto sullo strumento quanto sulla scrittura. Per farla breve... ho pubblicato da poco, ma compongo dagli albori.

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Hai pubblicato l'album ''Moving''. Ce ne vuoi parlare?

Con piacere! "Moving" è un figlio, un'estensione. Immagino i dischi come fotografie del momento e infatti dentro questo disco c'è quello che sono adesso. Quello che invece non c'è, è ciò che sarò più avanti quando avrò attraversato altre esperienze e altre sensazioni.
Mi piace pensare di riuscire a mettere in musica quello che vivo, sperimento vivendo, e la fortuna è che nella musica strumentale (niente testi, al massimo un titolo) ognuno di noi ci trova qualcosa di diverso; per cui non serve che tu capisca "esattamente" cosa sto dicendo: basta che ti emozioni per qualcosa che ti arriva.
Mi pare di aver capito, da quanto mi dice chi lo ha ascoltato dal vivo o comprato e ascoltato in poltrona, che "Moving" questa cosa riesce a farla.

Com'è il tuo rapporto con il web e i social?

Pessimo!! (ride). In realtà cerco di utilizzare questa risorsa in modo funzionale alla mia professione piuttosto che pubblicare stati d'animo personali o fotografare il piatto del giorno; non critico chi lo fa: parlo solo di come a me piace gestirlo.

Come vedi il futuro della musica?

Molti colleghi lo vedono triste; soprattutto in Italia la musica è diventata Talent; personaggi costruiti e propinati per stordire; chi li segue o addirittura li eleva ad icone, pensa che la musica sia quella. Il risultato, dovuto anche ad un intorpidimento generale delle persone, è che la cultura musicale del pubblico oggi si trovi probabilmente ai minimi storici, aggravata dalla ricerca di omologazione (es. "quello è bravissimo perchè canta uguale a quell'altro famoso") e dalla quasi totale pigrizia nello sperimentare ciò che non si conosce.
Ma tutto è ciclico; ci sono in giro molti "eroi" che continuano a fare e scrivere grande musica, e io credo che tornerà ad esistere un pubblico colto e affamato.
Troppo romantico? Chi lo sa.. vedremo.