Passione, determinazione e ambizione. Queste sono le tre caratteristiche che ho avuto il piacere di notare durante l’intervista fatta a Mimmo Langella, chitarrista e insegnante al Conservatorio Nicola Sala di Benevento.
La chitarra è da sempre la sua vera passione e non ne ha mai avuto dubbi. Di strada ne ha fatta. Tre dischi da solista pubblicati e il quarto in arrivo, le esperienze da turnista, i live con Nino D’Angelo, l’insegnamento e i suoi studi tra l’Italia e Los Angeles.
Cosa ti ha spinto a iniziare a suonare la chitarra?
In realtà, è una cosa avvenuta un po’ per caso, nella mia famiglia non ci sono musicisti! Da ragazzo, l’unico punto di aggregazione era la parrocchia di fronte casa mia; lì iniziai a frequentare un gruppo di amici che già suonavano e, incuriosito, iniziai a strimpellare anch’io la chitarra. In breve tempo mi sono appassionato alla musica e alla chitarra; ormai trascorrevo i miei pomeriggi più nella sala prova, allestita in una stanza della parrocchia, che sul campetto di calcio!
Cosa suonavi nelle prime formazioni musicali?
Il primo genere che abbiamo suonato è stato il Rock & Roll, quello di Elvis Presley, il Rockabilly insomma; l’assolo di Danny Cedrone in “Rock Around the Clock” mi aveva folgorato! Così spinsi il mio primo gruppo musicale a fare questo genere; ogni pezzo aveva l’assolo di chitarra e questa cosa mi piaceva tanto! Ahahahahahah…
In seguito abbiamo messo su un repertorio di musica italiana e napoletana per suonare alle cerimonie. Quello è stato il primo passo per diventare un professionista. Alle cerimonie il tuo lavoro non è quello di mostrare le tue capacità strumentali, la tua arte, ma d’intrattenere. Se la gente si diverte, hai fatto un buon lavoro!
Da adolescente sei stato ispirato da qualche chitarrista?
In realtà, non avevo una grossa cultura musicale. I primi chitarristi che ho ascoltato e cercato di imitare sono stati Carlos Santana e Dodi Battaglia; mia sorella più grande era una fan dei Pooh e spesso in casa si ascoltava la loro musica. La chitarra di Dodi aveva un certo appeal!
Hai studiato sia al conservatorio di Napoli e di Avellino, e sia al Guitar Institute of Technology (G.I.T) di Hollywood. Ne vuoi parlare?
Ho cominciato da autodidatta. Intorno ai sedici anni la passione e la voglia di diventare musicista era diventata forte, iniziai a studiare seriamente. Leggevo molti libri e riviste specializzate, studiavo, suonavo alle cerimonie. Insomma la musica era molto presente nella mia vita. Un giorno vidi sulla rivista Fare Musica (che comprava il mio batterista) la pubblicità delle clinic estive a Umbria Jazz che, per la prima volta in Italia, erano tenute nientedimeno che dai docenti della Berklee College of Music di Boston. Due settimane full immersion, m’iscrissi subito! Imparai più cose in quei quindici giorni di quanto avessi mai imparato studiando da autodidatta negli anni precedenti, la loro didattica era molto ben organizzata, avevano un approccio pragmatico che mi conquistò subito. All’epoca nei conservatori italiani si studiava solo musica classica e, poiché io desideravo studiare chitarra elettrica, mi resi conto che l’unica scelta possibile era quella di andare a studiare negli USA! La Berklee economicamente non era alla mia portata, così “ripiegai” sul G.I.T (Guitar Institute of Technology) di Hollywood che aveva un programma annuale. Per mettere i soldi da parte, ho dovuto lavorare tanto: tenevo lezioni private e suonavo ovunque e con chiunque maturando così una grande esperienza sul campo. Il corso al Guitar Institute of Technology mi ha permesso di perfezionarmi, di migliorare degli aspetti del mio modo di suonare, di colmare delle lacune. Però questo diploma, non essendo rilasciato da un conservatorio italiano o europeo, da noi non è un titolo di studio riconosciuto, non ha alcuna validità. Dal 2003 nei conservatori italiani sono stati introdotti i corsi sperimentali di Musica Jazz, Musica Elettronica, Musica Applicata ai Contesti Multimediali e, negli ultimi anni, anche i corsi di Musica Pop. Così mi son rimboccato le maniche e ho ricominciato tutto daccapo: ho conseguito i diplomi di Secondo Livello in “Discipline Musicali Musica Jazz”, nel 2009 presso il Conservatorio di Musica “San Pietro a Majella” di Napoli, e in “Chitarra Jazz”, nel 2015 presso il Conservatorio di Musica “Domenico Cimarosa” di Avellino.
Studi ancora?
Sì, certo, non quanto mi piacerebbe, il tempo a disposizione è sempre poco! C’è stata una fase nell’adolescenza e soprattutto dopo l’esperienza della partecipazione alle clinic di Umbria Jazz in cui studiavo parecchio, un periodo che arriva un po’ per tutti, in cui costruisci le tue fondamenta, acquisisci le conoscenze musicali e le abilità strumentali che costituiranno il tuo patrimonio, il tuo tesoretto che porterai per sempre con te! Ora mi capita di studiare “a progetto”, vale a dire per uno scopo preciso che può essere una gig imminente, la registrazione di un disco. Ho appena finito di registrare il mio nuovo album, è quasi pronto per la pubblicazione, mancano solo il mixaggio e il mastering. Il disco è una tappa importante perché fotografa un momento della tua vita artistica e resterà per sempre.
Hai lavorato a quattro dischi, l’ultimo uscirà a breve. Seguono un filo logico o sono completamente diversi?
Direi che seguono un filo logico, cioè il genere musicale è lo stesso.
Il primo disco, “The Other Side”, è forse quello più jazzistico, c’è più improvvisazione, l’ho registrato a 33 anni, probabilmente nel momento giusto, quando avevo già acquisito un bagaglio di esperienze ed ero forse in grado di elaborare un mio “suono” e dire qualcosa di personale, forse! Mi piace il suono della chitarra blues, cerco di unire quel tipo di sonorità ai groove funk e all’improvvisazione jazzistica. Dunque gli ingredienti essenziali nella costruzione del mio suono sono quelli della musica nera: il blues, il funk, l’R&B, il Jazz.
Il secondo disco è un po’ più funk, con alcuni pezzi cantati rap e improvvisazioni meno lunghe; qui ho avuto l’onore di avere come ospite in due brani il grande chitarrista americano Scott Henderson!
Il terzo disco, invece, è incentrato più sul soul-jazz degli anni sessanta; abbiamo usato l’organo Hammond, siamo partiti da quel tipo di sound destrutturandolo e ricostruendolo secondo i canoni di oggi.
Nel nuovo disco, che si chiamerà A Kind Of Sound, ho cambiato diverse cose. Il genere è lo stesso, ma è un po’ più distante dai lavori precedenti, essenzialmente perché la band non è più un quartetto, suoniamo in trio su tutto il disco: chitarra, basso e batteria! Non c’è più quel tessuto armonico creato dal rhodes o dall’Hammond, quel tipo d’accompagnamento che sosteneva le mie melodie.
Quali sono gli elementi che contano di più nella tua musica?
Un elemento importante nella mia musica è il groove, il ritmo, di conseguenza il suono e il groove del batterista sono essenziali.
Un altro elemento fondamentale è il suono: deve essere corposo, grosso, insieme al groove deve produrre una pulsazione trascinante e avvolgente. Poi c’è l’improvvisazione, perché la mia idea di fare musica, l’approccio è di tipo jazzistico. I miei brani, pur essendo costruiti su un beat funk, sono registrati in studio suonando sempre tutti quanti insieme, non singolarmente come si è solito fare nella musica pop.
La tecnica, lo studio basta?
Lo studio è necessario, ma non è sufficiente! Nella musica classica c’è molta più disciplina; i concertisti lavorano sulla perfezione tecnica, sulla precisione nelle loro esecuzioni, oltre che sull’interpretazione, ovviamente! E più le conoscenze tecniche diventano istintive, più sei capace di esprimerti meglio, perché riesci a realizzare con naturalezza sullo strumento le idee che ti vengono in mente, non hai ostacoli, gli “arnesi” che ti servono per suonare sono lì. È altrettanto importante suonare insieme con gli altri. Ritengo che studiare, suonare e ascoltare siano tutte cose molto importanti nella crescita di un musicista.
Suonare con gli altri ci serve per verificare sul campo quello che stiamo imparando, per renderlo naturale, fluido, ma anche per capire meglio i nostri limiti e le nostre lacune in modo da pianificare il lavoro che dobbiamo fare a casa.
Studiare ci fa migliorare, aumentare le nostre abilità musicali e strumentali, ci permette di “passare a un livello successivo di noi stessi”.
Attraverso l’ascolto, ci “nutriamo” di musica, cerchiamo di capire cosa fanno gli altri musicisti, i grandi, come funziona la loro musica, qual è la musica di oggi, i suoni che si utilizzano, per un artista è importante non astrarsi!
Quando non c’erano le scuole, i musicisti imparavano praticamente dai dischi, talvolta senza neanche affrontare la parte metodica e razionale dello studio. Un disco è un manuale universale della musica. Per me imparare un disco equivale a studiare cinquanta libri!
Quale chitarra suoni? Preferisci quelle di liuteria o standard?
I due marchi storici di chitarra elettrica sono Gibson e Fender. L’icona della Gibson è il modello Les Paul, per la Fender è la Stratocaster. Sono due chitarre che hanno fatto la storia e a cui tutti i costruttori s’ispirano. Io sono un “gibsoniano”. Mi sento a casa con una Gibson tra le braccia perché ha un suono grosso, credo più adatto alla mia musica.
La Les Paul è in mogano, ha il manico incollato e la scala corta. Questo le dà un suono più grosso, difficilmente utilizzabile in un contesto di musica leggera o rhythm and blues o di accompagnamento. Secondo me è più uno strumento adatto al solismo.
La Fender Stratocaster ha la scala lunga. Il corpo in ontano o frassino e il manico avvitato le danno un suono più scoppiettante, più brillante e tagliente. Se suoni musica leggera in una band dove ci sono tastiere, per l’accompagnamento in genere e per ritmiche funky, la Stratocaster funziona meglio!
Io uso una Les Paul nel mio progetto musicale dove la densità sonora è bassa e la strato quando lavoro per gli altri, quando faccio il turnista, per tutti i lavori in orchestra, in studio o in televisione, quando suono con Nino D’Angelo.
Ci sono anche nuovi marchi che, secondo me, hanno perfezionato questi progetti base. Uno di questi è Suhr che si è concentrato sul progetto Fender; io utilizzo le loro chitarre, ormai sono endorser del loro marchio da anni, le reputo veramente ottime, sono chitarre per professionisti, non mi hanno mai dato alcun tipo di problema. Uso da tempo anche le corde Galli, marchio storico di corde italiane made in Naples!
La chitarra è uno strumento straordinario, non è facile essere a proprio agio in tutti i generi musicali in cui è impiegata; ogni stile richiede delle abilità particolari, è non basterebbe una vita per padroneggiarle tutte! Io da una parte mi definisco un chitarrista pop-rock per la mia professione di turnista e dall’altra mi definisco un chitarrista jazz-blues per la mia carriera da solista. Ho queste due anime. Riesco a sentirmi a mio agio in entrambe.
Come vedi il futuro della musica?
La musica sta andando... dove deve andare, è la normale evoluzione delle cose. Non voglio dire che oggi è meno bella di ieri. Il discorso è complesso, il mondo è cambiato. Quello che ho notato è che oggi ci sono meno possibilità e voglia di approfondire, abbiamo tutti poco tempo e questa cosa non fa bene all’arte. Per l’arte c’è bisogno di tempo e dedizione.
Durante le tue lezioni qual è la cosa principale che vuoi trasmettere ai tuoi allievi?
Oltre alla conoscenza, un insegnante deve trasmettere un metodo di studio, e deve riuscire a tirar fuori il musicista che è in ogni allievo, la sua personalità e farla esprimere in musica. Questo è il compito più arduo per un insegnante!