Antonio Matonti's Dubash Band è una World Fusion Music band di Milano. Per loro la sperimentazione è fondamentale per  sviluppare nuove idee e nuovi sound.

Com'è nata la vostra band? Che musica fate?

La Dubash Band è nata come gruppo per la realizzazione della tesi in batteria Jazz di Antonio Matonti, vero fondatore del gruppo: Trilok Gurtu: Le influenze del Jazz nella musica Indiana. Partendo dal repertorio di Gurtu (percussionista e batterista indiano) e da alcuni brani di Matonti scritti per l'occasione, ci siamo portati oltre, consolidando il gruppo come band effettiva composta da due voci (Niccol De Santis, Alice Macchi), tastiera e Synth (Giovanni Liberatore), chitarra elettrica (Pierluigi Fidanza), basso (Luca Caiazza) e batteria (Antonio Matonti).
La nostra musica ha al suo interno diverse influenze dal Jazz al Rock, alla musica indiana: ci muoviamo nell'ambito della World Fusion Music.

Quali sono state le esperienze che vi hanno maggiormente formato?

Essendo un gruppo relativamente nuovo abbiamo ancora tante esperienze da fare. Sicuramente il momento attuale è quello per noi più formativo: stiamo lavorando ai nostri ultimi brani, quindi siamo nella fase di maggior creatività e libertà; ognuno di noi ha alle spalle esperienze in diversi ambiti artistici e musicali che mette a disposizione degli altri, per creare il miglior risultato possibile sia a livello musicale che umano. Partiamo dall'idea centrale fornita dalle composizioni di Matonti e insieme le elaboriamo dando ciascuno il proprio contributo: crediamo molto nel lavoro di gruppo.

Quali sono i vostri progetti attuali e per il futuro?

Abbiamo in mente molti progetti. Attualmente come dicevamo, stiamo lavorando al nostro repertorio per la realizzazione del nostro primo album. Per quanto riguarda il nostro futuro non troppo lontano, stiamo programmando la partecipazione a concerti e festival all’estero e organizzando collaborazioni con musicisti italiani e stranieri; ma la prima vera sfida è quella di registrare alcuni nostri brani con un'orchestra con cui siamo in contatto.

Quanto conta per voi la sperimentazione?

Sperimentare nella musica e in generale nell’arte è fondamentale per trovare e sviluppare idee nuove e originali.
Noi sperimentiamo sia attraverso la ricerca dei suoni in sé, che musicalmente, fondendo diversi elementi provenienti dai generi a cui ci ispiriamo, quindi unendo ad esempio l'utilizzo dei tempi dispari alle armonie modali di stampo più jazzistico, i suoni distorti del rock ai ritmi basati su cicli ritmici delle tabla, quindi utilizzando elementi specifici della musica indiana. A partire dalla fusione di questi elementi componiamo i nostri brani: con il nostro primo pezzo “Konnakol for Drumset” si è proprio utilizzato come base della composizione il konnakol (solfeggio ritmico vocale indiano) e lo si è avvolto in un'atmosfera spirituale creata da synth e chitarra, dandone quindi una connotazione meno rigida di disciplina e inserendolo in una visione più poetica. Ma in fase di composizione altre volte partiamo dall'uso di scale indiane, scrivendo prima la melodia, che è fondamentale: per questo spesso è fatta eseguire all'unisono da più strumenti insieme alle voci. Altre volte ancora invece partiamo dall'improvvisazione: si creano riff di tabla, batteria e basso e lasciamo spazio all'interplay.
Oltre a sperimentare in senso musicale, cerchiamo di unire altri ambiti artistici: è il caso di “Peace” inedito di Matonti. Quì si è lavorato a partire dal testo poetico Me ne andr  di Saleh Abdalahai Hamudi che racchiude in sé un messaggio di aiuto e di speranza rivolto a tutti i popoli del mondo, per creare un brano che avvolgesse il contenuto della poesia e ne amplificasse la forza del significato traducendolo musicalmente.

Se doveste descrivere con tre parole la vostra musica, quale usereste?

Dinamica, collettiva, spirituale.

Cosa pensate del panorama musicale attuale?

Parlare della scena musicale attuale non è facile. Ci sono diverse realtà che coesistono ma in maniera un po' troppo sbilanciata qui in Italia: crediamo che in generale si sia perso da un lato il tentativo di produrre qualcosa di originale e innovativo. Chiaramente comprendiamo che si debba stare al passo con i tempi, ma ciò non significa appiattire le possibilità che abbiamo di esprimerci, con i mezzi di oggi proprio per sperimentare come dicevamo prima, limitandoci a un genere o un argomento solo. Sarebbe bello e sicuramente efficace dare spazio sul mercato musicale, a diversi generi che sono per la maggior parte sconosciuti e quindi poco ascoltati, per dare la possibilità a tutti di aumentare la propria conoscenza e scoprire magari qualcosa di diverso dal solito che, chissà, potrebbe anche piacere!

Quali sono i pro e i contro dell'era digitale?

Di certo il primo e immediato lato positivo dell'era digitale è quello di permetterci di far arrivare la nostra musica molto più velocemente al pubblico, grazie ai social di diverso genere oggi disponibili. Per noi e chi come noi fa un genere di musica non mainstream, questa è sicuramente una via fondamentale per farci conoscere e condividere il nostro lavoro, perché non si ha bisogno del permesso di nessuno: si registra, si pubblica, si condivide e il gioco è fatto. Ovviamente questo non sostituisce la necessità di dover poi costruire dei rapporti personali per realizzare il proprio lavoro, ma sicuramente come immediatezza di riscontro con il pubblico è un metodo imbattibile.
Ovviamente la velocità e semplicità con cui si raggiunge questo scopo, ha il suo contro imprescindibile: una maggiore possibilità di diffusione, aumenta la quantità di contenuti ma ne diminuisce la qualità. Questo porta ad una diffusione più alta di contenuti musicali molto spesso di discutibile livello sia musicale che intellettuale, che per  prendono una grande fetta di mercato per facilità di ascolto. Questo non sarebbe un problema se non ci si dimenticasse che esistono anche realtà più sperimentali e piccole che non trovando spazio fanno fatica ad emergere ed a sopravvivere, e necessitano anche loro attenzione e sostegno, non solo da parte delle realtà più grandi ma anche a partire da quelle più piccole, come i locali.

Come vedete il futuro della musica?

A questo proposito, siamo e vogliamo essere fiduciosi. Questo perché oggi stiamo piano piano vedendo il ritorno di alcune abitudini che, con la semplicità dell'utilizzo e della diffusione del digitale, si erano perse. Ad esempio la richiesta crescente di musicisti che registrino i brani suonandoli, quindi evitando di utilizzare solo gli strumenti digitali e le basi già fatte o per lo meno integrando le due possibilità; il ritorno allo studio di registrazione vero e proprio per avere in mano un prodotto che sia seguito in fase di lavorazione da professionisti; la richiesta del vinile, quindi la voglia del pubblico di avere un disco fisico in mano da poter ascoltare ma anche vedere e toccare. Questi sono alcuni degli aspetti che ci fanno essere fiduciosi sul futuro, almeno dal punto di vista delle abitudini musicali, e perché no anche alla mobilitazione maggiore del mercato musicale, che piano piano sembra debba tornare a dare spazio a più persone, ai musicisti, ai tecnici del settore.