Stefano Rizzo è dotato di una voce molto particolare, tanto da rimanerne affascinati. Il suo progetto ‘’Sorry for Pluto’’ è nato da pochissimo e già ha raccolto molti consensi. Si tratta di brani inediti, scritti, composti e cantati da lui stesso. Sono reperibili sul web dei mini video della durata di un minuto dove è possibile ascoltarne dei frammenti.

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Cosa ti ha spinto a fare musica?

Fin da piccolo sono stato attratto dai suoni e dagli strumenti che li producevano. Mentre gli altri bambini giocavano nel cortile dell’asilo io me ne stavo nella stanza dove c’era un toy-piano a picchiare su quei tastini bianchi e neri, scoprendo un po’ alla volta che se li pigiavo in una certa maniera era possibile dare un ordine al caos, ricreare delle melodie che avevo già sentito e addirittura crearne di nuove, che erano solo nella mia testa. Allora non ero ancora consapevole di cosa volesse dire fare musica, ma quella curiosità mi ha aiutato a sviluppare una mia sensibilità, legata più all’istinto che alle regole.
Qualche anno dopo ho scoperto la chitarra, e ho capito che la sua voce si avvicinava di più a quello che cercavo di dire in quel momento, e da lì le cose sono avvenute in maniera naturale. Ovviamente le mie prime composizioni erano delle parafrasi di quello che ascoltavo, ma col passare degli anni la musica che potevo ascoltare non mi bastava più, così ho iniziato a scrivere la musica che volevo ascoltare, trovando una voce mia, una mia identità, e ora scrivere canzoni è normale, a volte inevitabile.

Quali sono le esperienze che ti hanno maggiormente formato?

A parte qualche lezione di organo moderno intorno ai 10-11 anni, non ho mai studiato musica in maniera canonica, ho imparato a suonare ascoltando la musica che mi piaceva cercando di riprodurla, consumavo dischi e cassette per ascoltare e riascoltare un singolo passaggio finchè non lo eseguivo come (secondo me) era corretto. E’ stato sicuramente un percorso lungo e non “accademico”, ma mi ha permesso di sviluppare quella che ritengo la dote più importante che un musicista possa avere, e cioè la capacità di ascoltare e capire cosa succede in un brano musicale senza bisogno delle “istruzioni”.
Con questo non voglio dire che lo studio della teoria musicale vada sottovalutato, anzi è uno strumento fondamentale e potentissimo, ma nel mio percorso è stato più un complemento che un punto di partenza, un modo per poter comunicare con altri musicisti in maniera più rapida ed efficace.

Qual'è il tuo stile musicale?

Negli anni ho ascoltato e suonato diversi generi musicali: metal, rock, pop, ambient, bossa nova, gipsy jazz, e questo mi ha portato ad avere a disposizione una varietà di elementi che sono diventati l’ossatura della mia musica, un viaggio a metà tra la potenza e la dolcezza, caratterizzato da un timbro vocale caldo e avvolgente, molto personale e riconoscibile.

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Hai un progetto di brani inediti. Ce ne vuoi parlare?

Dopo anni passati a lavorare al servizio della musica di altri, come fonico, produttore o musicista, ho sentito la necessità di far ascoltare la mia musica e la mia voce, senza compromessi e senza limitazioni di genere, nella maniera più spontanea e sincera possibile.
“Sorry for Pluto” nasce dalla voglia di fare musica senza schemi o sovrastrutture, è un modo per tornare alle origini, a quell’istintività che ha dato il via a tutto. Al momento è una “one man band”, sto componendo, arrangiando e registrando tutte le canzoni nel mio home studio, una fase che adoro perché è quella in cui posso seguire liberamente il flusso di coscienza del momento e vedere dove mi porta.
Completata la fase di scrittura e arrangiamento raccoglierò le canzoni in quello che sarà il mio primo disco solista, registrandole in uno studio adeguato e con musicisti che sto già valutando. Conseguenza naturale sarà portare il disco dal vivo in giro per l’Italia e, se tutto va come spero, anche all’estero.

Quali sono gli elementi che contano di più nella tua musica?

L’elemento che conta di più nella mia musica è sicuramente la melodia. Quando durante l’adolescenza la mia voce è maturata ho subito un piccolo trauma, le note acute che fino ad allora raggiungevo senza problemi iniziavano a diventare lontane dalla mia portata, mentre altre, quelle più basse, iniziavano ad insinuarsi e a plasmare il mio timbro, e di conseguenza il mio modo di fare musica. Vista la particolarità del mio timbro vocale mi è risultato più facile scrivere delle melodie che in qualche modo ne valorizzassero le potenzialità espressive e drammatiche, cercando di trasformare i miei limiti in un punto di forza, una necessità creativa. Il risultato sono melodie che, pur essendo orecchiabili e facilmente accessibili, sono inevitabilmente molto personali.
Altro elemento fondamentale (anche se involontario) è l’elemento sorpresa. Spesso mi capita di pensare a una melodia o a un ritmo e nel giro di qualche istante il mio cervello sta già elaborando e organizzando cose che un secondo prima neanche immaginavo. E’ successo di recente con “The worst”, mi sono caduti alcuni libri e il suono che hanno prodotto mi ha fatto venire in mente una pulsazione ritmica che ho poi eseguito con il cajon. Il resto degli elementi si è aggiunto da sé, quasi automaticamente, un processo che ogni volta mi affascina e stupisce.

Suonare musica inedita nei locali. Comporta qualche difficoltà in più rispetto a quando si propone di suonare cover? Cosa ne pensi?

Credo che le difficoltà siano simili, nel senso che sia chi fa musica originale che chi fa cover cerca di raggiungere il massimo livello possibile dal punto di vista della proposta musicale, dello show, della comunicazione e del consenso del pubblico. La differenza sta nei sacrifici che si è disposti a fare e nei chilometri che si è disposti a percorrere.
Negli ultimi anni i locali e le realtà che propongono e promuovono la musica originale sono diminuiti, ce ne sono ancora tantissimi, ma sono sparsi in giro per l’Italia o per l’Europa. Oggi per fare un numero di date live significativo bisogna avere la voglia e la possibilità di spostarsi e raggiungere altre regioni o altre nazioni. Per fortuna il web ci permette di contattare anche realtà che ci sembrano inarrivabili, di far sentire la nostra musica, di organizzare date e creare una rete di contatti virtuali che possono portare a collaborazioni reali. I tempi sono sicuramente cambiati, ma anche in meglio.
Inoltre penso che ultimamente il pubblico senta di nuovo un forte bisogno di ascoltare musica nuova, diversa, lontana dal mainstream. Lo sto constatando in prima persona, nel mio piccolo, dai commenti che ricevo quando pubblico on line degli estratti dei miei brani. Persone di ogni età e di diversi paesi apprezzano e sono incuriositi dalla mia musica, persone che quando suonerò nella loro città potrebbero anche venirmi a sentire…”you may say I’m a dreamer”...

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In che modo usi il web e i social per il tuo lavoro di chitarrista e cantante?

Come accennavo prima, secondo me il web e i social oggi sono diventati uno strumento molto utile per accorciare le distanze, trovare contatti e nuove collaborazioni.
Attualmente ad esempio sto creando le “One minute songs”, dei video con versioni demo da un minuto dei nuovi brani che sto scrivendo, e condividendoli sui miei canali social do a tutti la possibilità di conoscere la mia musica. La cosa fantastica è che gli ascoltatori provengono da tutto il mondo, sono persone con percorsi di vita totalmente diversi, eppure in qualche modo ascoltando una mia canzone hanno sentito il desiderio di lasciare un commento, un segno che li avevo raggiunti. Questo tipo di feedback una volta sarebbe stato impensabile, oggi è normale e fa ben sperare affinchè il pubblico sia stimolato a cercare la musica, invece che subirla passivamente.
Ma per fare in modo che il pubblico cerchi la musica questa deve essere interessante, deve “arrivare” alle persone, e per questo non c’è tecnologia o social che tenga, l’unica soluzione è impegnarsi a fondo in quello che si fa, affrontare i sacrifici e cercare di essere la versione migliore di se stessi.

Come vedi il futuro della musica?

E’ davvero difficile prevedere quale piega prenderà la musica da qui a qualche anno, ci sono troppe variabili, mode pronte ad esplodere e svanire nel giro di una stagione, interessi che vanno al di là della musica e che sarebbero più adatti a Wall Street che a Woodstock.
Però posso provare a immaginare come vorrei che fosse la musica in futuro. Vorrei che la musica tornasse ad essere un elemento di unione e non un motivo per tifare contro qualcuno, che fosse un modo per esprimere le proprie emozioni e il proprio desiderio di comunicare, più che una gara per dimostrare chi è il più bravo. La competitività e il confronto sono fondamentali per migliorarsi, ma forse sarebbe necessario fermarsi per un momento e ricordarsi che la musica, prima di tutto, è divertimento, sudore, amicizia, follia, rabbia, amore, racconto, dolore, gioia... E’ come la vita, solo che in più ti fa ballare.

Sei iscritto su soundfeat. Cosa pensi di questa piattaforma musicale?

Trovo che una piattaforma come Soundfeat sia un’ottima combinazione tra “vetrina” per gli artisti e sito di informazione musicale. Sono iscritto da poco ma la mia percezione è che sia gestito da appassionati di musica, da quelle persone di cui abbiamo bisogno per fare in modo che una rete enorme di musicisti sia consapevole delle proprie potenzialità, che sappia cogliere quelle degli altri e resti connessa in maniera più diretta. Questo non può che far bene alla musica, a chi la crea e a chi la ascolta.

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