Le rose e il deserto é il progetto solista del cantautore Luca Cassano. L'artista in modo ironico, spensierato e leggero racconta ciò che gli circonda e il suo punto di vista sulle cose attraverso le sue canzoni, che vedranno la luce a breve, in quanto uscirà il suo primo EP ''Io non sono sabbia''.
Da ricercatore universitario a cantautore. Come hai coniugato entrambe le cose?
Più che “da ricercatore universitario a cantautore” direi “ricercatore universitario e cantautore”. Sono due attività che porto avanti contemporaneamente: con la prima porta a casa la pagnotta e pago le bollette, con la seconda giro per i locali e mi diverto un sacco (non che a fare il ricercatore non ci si diverta eh!). Posso tranquillamente dire che sono due attività ad alto contenuto creativo, per quanto siano due tipi di creatività profondamente diversi. Per il resto penso di non averle coniugate affatto: sono due vite parallele che si intersecano esclusivamente nella mia testa. Fortunatamente, il mio lavoro di ricercatore universitario mi concede la libertà di poter gestire con molta flessibilità ed autonomia il mio tempo e di poter incastrare gli impegni professionali con quelli artistici.
Quali sono state le esperienze che ti hanno maggiormente formato?
Non è che la mia sia una vita particolarmente avventurosa, anzi. La mia scrittura, le mie canzoni, parlano di me, di piccoli momenti della mia vita. Sicuramente nelle mie canzoni ci si trovano dentro i miei viaggi, i romanzi e le poesie che ho letto, le donne con cui ho vissuto, la relazione spesso conflittuale con la mia famiglia. Non esisterebbero però Le rose e il deserto senza i “Citofonare Colombo”, la band con cui 5 anni fa io e Nicola, il mio coinquilino di allora, giravamo le strade ed i locali di Milano portando uno scalcagnatissimo repertorio di cover. Eravamo disastrosi dal punto di vista musicale ma riuscivamo a portare per strada e sul palco una grande carica di allegria e di voglia di stare insieme. E’ stata un’esperienza, durata un paio di anni, che mi ha fatto capire quanto mi piacesse fare musica.
A breve uscirà il tuo EP ‘’Io non sono sabbia’’. Ce ne vuoi parlare?
E’ la mia prima pubblicazione, il mio “EP d’esordio”, e la cosa mi emoziona tantissimo. Saranno cinque canzoni che parlano di me e delle cose che ogni giorno toccano la mia sensibilità: la mia famiglia, la voglia di scappare dalla quotidianità, la fatica di vivere nella grande città, l’amore. Dal punto di vista musicale, invece, “Io non sono sabbia” è un disco controverso per me: avrà delle sonorità elettroniche e degli arrangiamenti molto pop, che non avrei pensato potessero adattarsi alla mia produzione musicale, che tipicamente segue la strada dei cantautori chitarra e voce. E’ un EP che nasce dalla collaborazione con le Manifatture Morselli Recording, di Modena, dove è stato arrangiato, prodotto e registrato. Tutto ha avuto inizio con “Sabbia”, la canzone che in qualche modo darà il titolo all’EP (nonostante il titolo stesso ne prenda le distanze) e che lo aprirà. La scorsa estate ho scritto il testo di questa canzone e ne ho mandato una registrazione ukulele e voce a Stefano Morselli (l’arrangiatore e produttore dell’EP) chiedendogli di provare a farne un arrangiamento elettro-pop. Dopo tre giorni avevamo la versione praticamente definitiva della canzone. Il resto è stato tutto in discesa.
Qual è il messaggio che vuoi trasmettere attraverso le tue canzoni?
Io non ce l’ho un messaggio da comunicare. Per me la scrittura è prima di tutto autoterapia: mi permette di parlare di quei temi di cui non avrei il coraggio di parlare altrimenti (non dimentichiamoci che sono calabrese, e che i calabresi hanno enorme difficoltà a parlare di sentimenti). Le mie canzoni parlano di me e non vogliono insegnare niente a nessuno. Ho solo la pretesa, o la speranza, di trasmettere a chi le ascolta le stesse emozioni che mi hanno spinto a scriverle. Mi è capitato di veder piangere persone mentre suonavo alcune mie canzoni e di commuovermi a mia volta. Ecco, direi che quello che mi interessa veramente è che le mie canzoni creino questa forma di legame emotivo con la gente.
Ci sono degli artisti a cui ti ispiri per la tua musica?
Mi piace sempre dire che la mia musica ha un’anima doppia: prevalentemente sono le rose a scrivere: canzoni malinconiche, intime, a volte sentimentali. Ogni tanto il deserto prende il sopravvento e scrive qualche canzone più arrabbiata, politicizzata. Beh, le rose si ispirano senza dubbio all’intramontabile, principe, Francesco De Gregori, ma anche a due meravigliosi cantautori contemporanei, purtroppo (o per fortuna) poco conosciuti: Emanuele Galoni ed Emanuele Colandrea. Il deserto invece si rifà al combat folk anni ’90, i Modena City Ramblers, i Gang, ma anche Giorgio Canali e gli Ska-P.
Autoproduzione oggi. Qual è la tua visione?
Penso di essere poco titolato per rispondere a questa domanda, visto che, appunto, non è neanche ancora uscito il mio disco d’esordio. Mi sembra comunque che, per musicisti che si affacciano oggi alla musica, l’autoproduzione rappresenti l’unica vera strada percorribile in maniera seria e duratura per portare avanti un proprio progetto, nella speranza che, prima o poi, si venga notati da agenzie, etichette e booking che possano aiutare a crescere. C’è poi la scorciatoia dei talent, ma eviterei di entrare nell’argomento.
In che modo il web e i social possono essere utili per l'attività di un artista?
Indubbiamente possono dare visibilità, anche molta. Permettono di diffondere la propria musica, in maniera molto capillare e a basso costo. Trovo però che spesso i social distolgano l’attenzione da quelle che è davvero centrale nella figura di un artista: la musica, i testi, le canzoni, i concerti, le idee. Vedo tanti cantautori mettere in pubblico più la propria vita privata, i propri pasti, i propri amici, che le canzoni. Questo a mio avviso sta creando una distorsione nel modo in cui la gente percepisce gli artisti. Si guarda come attraverso una lente in stile grande fratello: vogliamo conoscere la quotidianità dei nostri artisti preferiti e questo secondo me non fa bene né al pubblico nè agli artisti. Citando “Guarda che non sono io” di De Gregori: “se credi di conoscermi, non è un problema mio”.
Come vedi il futuro della musica?
Esiste la musica da che esiste l’uomo. Cantano i bambini di 3 mesi e gli stonati sotto la doccia, gli aborigeni d’Australia, i pope Armeni, i dervisci tourners, i vecchietti in fila alla cassa del supermercato e gli impiegati in coda al semaforo. Non possiamo vivere senza musica, a prescindere da generi, gusti, strumenti e mode. Il mercato della musica, quello è un altro discorso. Ma sarei un pazzo a fare previsioni sull’evoluzione del mercato.