Clacs sono una band che ha portato avanti non solo la propria musica, ma anche l’associazione culturale “La Casa della Musica”, realtà nata come spazio giovanile per contrastare l’alienazione e l’appiattimento culturale della vita in paese. Tra i progetti futuri? Nuovi brani inediti
Com'è nata la vostra band? Che musica fate?
La nostra band nasce dall’incontro di personalità in qualche modo affini. Abbiamo origini in un piccolo paese dell’entroterra siciliano (Riesi) e per ¾ veniamo da lì. Siamo cresciuti suonando insieme e il bisogno di esprimersi attraverso la musica ha fatto il resto. Abbiamo pubblicato nel 2015 un ep di 4 brani. Ai tempi ci chiamavamo deClacs. All’inizio di quest’anno abbiamo cambiato formazione (è arrivato un nuovo batterista), e abbiamo deciso di approfittare della “pausa” per rimettere in tutto in discussione. Come prima cosa abbiamo abbreviato nome. Il nome “CLACS” è un po’ evocativo della nostra musica. E’ onomatopeico, assimilabile ad un rumore acido, un allarme. La nostra musica viene da lì, è un richiamo alla nostra natura, ad esprimere in modo puro e istintivo ciò che proviamo. Ci sembra riduttivo definirlo “indie-rock”, anche perchè non amiamo le etichette. Il nostro sound convoglia ampiamente il nostro modo di sentire, che si alterna tra rabbia, insofferenza, e la quiete apparente di nuova visione, che si potrebbe intendere anche come il mancato urlo di disperazione del nichilista che non vorrebbe più esserlo. Questo si riflette tanto sui testi quanto sulla musica. Ci piace ricercare le melodie più delicate, suoni sognanti pieni di reverbero, così come ci piacciono ritmiche dure e incalzanti. Cerchiamo di essere creativi lasciando spazio a ciò che più spontaneamente sentiamo.
Quali sono state le esperienze che vi hanno maggiormente formato?
Una delle esperienze che ci ha formato e continua a formarci è l’aver fondato (opera di Davide e Gaetano) e portato avanti l’associazione culturale “La Casa della Musica”, realtà nata come spazio giovanile per contrastare l’alienazione e l’appiattimento culturale della vita in paese. Insieme al centro sono cresciuti i nostri interessi musicali, i nostri primi progetti, fino ad arrivare ai deClacs, adesso CLACS. L’attività della nostra associazione, ancora oggi un punto di riferimento per le nuove generazioni di Riesi, ci ha permesso di crescere come persone e come musicisti, avendo avuto la possibilità di conoscere e confrontarci con svariati artisti, così come di investire in una sala prove con una piccola regia per le registrazioni. Come band invece, le esperienze più formative sono state certamente quelle in studio.
Quali sono i vostri progetti attuali e per il futuro?
Abbiamo appena aperto un nuovo ciclo per la nostra formazione. Con l’ingresso di Andrea nel gruppo abbiamo pianificato l’uscita di tre singoli, così ci siamo messi a suonare con degli obiettivi più o meno definiti. Abbiamo suonato tantissimo insieme siamo andati a registrare il primo singolo. A inizio Ottobre ne abbiamo registrati altri due, e siamo contentissimi perchè sentiamo che il nostro sound inizia a prendere una forma che ci rispecchia molto. Il 17 Ottobre abbiamo finalmente pubblicato “Testo Leggero”, che adesso è su tutte le piattaforme di streaming digitale. Uscirà anche un videoclip, che annunceremo in questi giorni. Adesso vi abbiamo detto che esistono altri due singoli, che pubblicheremo a seguire, ma non sarà tutto qui! Gli obiettivi sono tanti, tra un nuovo repertorio da portare dal vivo, e la sfida di un primo LP a cui pensiamo già da un po’. In generale c’è molta voglia di suonare e di stare insieme, e questo ci porta a voler fare tutto al pieno delle nostre possibilità. La strada però è in discesa perchè non potremmo fare null’altro che questo.
Riguardo la diffusione della musica inedita. Quali sono le difficoltà per una band che vuole proporre la propria musica ai locali, club, eventi live?
Esiste nell’immaginario collettivo del musicista uno scenario, ormai vecchio e inflazionato, del proprietario del locale che chiede a chi si propone di suonare quanta gente porterà. Quest’immagine viene tradotta spessissimo nella versione più riduttiva e drammatica della vittima (il musicista) e il carnefice (il locale che non ti fa suonare). Noi pensiamo che i fattori in gioco siano tantissimi: dalle difficoltà economiche del locale/piccolo imprenditore che investe e deve in qualche modo preservarsi, al continuo evolversi della fruizione di musica, così come dei rapporti sociali, e non per ultimo alla capacità del musicista di arrivare all’ascoltatore, laddove quest’ultimo viene bombardato di nuove proposte musicali ogni giorno. Le variabili in gioco sono tantissime e non ci si può di certo fare portavoci di una verità assoluta. Per nostra indole siamo portati, quando qualcosa non va come vorremmo, a risponderne in prima persona, e forse è proprio questa una delle difficoltà più grandi: farsi carico dei propri fallimenti ed essere più permeabili ai feedback negativi, senza però perdere le energie e la motivazione necessarie a crescere come musicisti e, prima ancora, come persone.
Autoproduzione oggi. Qual è la vostra visione?
La potenza di calcolo degli attuali computer, l’estrema accessibilità alle reti di distribuzione, così come la presenza ed evoluzione costante dei social network, ha definitivamente cambiato il modo di fare musica. Noi vorremmo farci promotori di una certa filosofia dell’utile, così da non doverci schierare tra i sostenitori del mondo analogico o di quello digitale. Siamo nati tutti in un periodo di transizione, esattamente tra l’analogico e il digitale, abbastanza giovani da approcciare il nuovo e trovarne l’utile, ma non troppo da disconoscere l’importanza di passare da uno studio con dell’attrezzatura di qualità. Abbiamo tutto ciò che occorre per fare delle registrazioni (un box a nostra disposizione, una scheda audio, dei microfoni, ecc) e sfruttiamo questo per migliorare i nostri brani durante l’arrangiamento. Troviamo molto utile poter maneggiare il nostro materiale al computer, e riascoltarsi può essere fondamentale per migliorare i brani. Così come reputiamo altrettanto importante poi, investire su uno studio di registrazione che ci aiuti a tirare fuori il meglio, e crediamo che questo sia l’approccio migliore per noi.
Com'è il vostro rapporto con il web e i social?
Allo stato attuale delle cose, ci siamo da pochissimo affacciati con un po’ più di curiosità al mondo dei social. C’è sempre stato tra di noi un po’ di scetticismo relativamente alla possibilità di trovare un corretto posizionamento all’interno delle nuove piattaforme (vedi Instagram). In realtà, permane un po’ di ambiguità, che viene condizionata dalla necessità di individuare una stretta collocazione, di definire un target preciso, “etichettare” e quindi “ridurre” ciò che siamo. Al tempo stesso, questo ci stimola a pensare in modo più chiaro e soprattutto ad essere più creativi. I social ti impongono creare un’identità visiva oltre che musicale. Abbiamo una certa idea dell’estetica che deve avere il nostro progetto e la sfida generale è trovare una formula che ci racchiuda. Una parte importante di ciò è vedere come i nostri brani riescano a suggestionare il prodotto di altri artisti, come un illustrazione, o un animazione, o ancora un video. Fare rete, conoscere nuovi progetti, sostenerli, cercare collaborazioni, è per noi il lato bello del mondo dei social, contrapposto agli ideali narcisistici che spesso ne rappresentano l’unico imperativo.
Come vedete il futuro della musica?
Si va ormai per categorie sempre più aperte e fluide. Nell’ultimo anno abbiamo osservato insieme diverse cose, dall’esistenza di progetti musicali privi di anima, di un sentimento sottostante, fatti appositamente per cavalcare l’onda, arrivando addirittura a dei software che con una serie di algoritmi ti creano delle basi strumentali. Possiamo prevedere una progressiva industrializzazione della musica? Qualcuno direbbe che “abbiamo portato la musica al supermercato”, con tanto di prezzo, etichetta di provenienza e data di scadenza. Musica pronta al consumo e alla grande distribuzione, e poi? Ma questo è soltanto un dato di realtà parziale, e se è vero che il mondo va talmente veloce da non poter prendere un respiro d’intermezzo tra presente e futuro, dovremmo allora smettere di preoccuparcene e pensare soltanto ad esserci qui ed ora, tramite la nostra musica. E siamo sicuri che finché qualcuno proverà cose simili continuerà ad esserci qualcosa che valga la pena ascoltare, seppur in forme sempre nuove.