La band The Boylers suona insieme dal 2009. I'ultimo singolo s'intitola “We are the boylers”.

Quali sono state le esperienze che vi hanno maggiormente formato?

Se presi individualmente, ognuno di noi ha avuto esperienze personali molto diverse: c’è chi ha iniziato a suonare grazie alla nascita dei “The Boylers”, chi si dedicava alla musica per diletto, fino ad arrivare a chi ha avuto il piacere di suonare all’estero o di dedicare la propria vita alla musica per professione. Gli episodi più significativi che hanno segnato il percorso della band di per sé sono stati sicuramente le esibizioni in locali del calibro dell’Alcatraz di Milano, Il Viper Theatre di Firenze, i live in apertura a Marky Ramone e l’esperienza vissuta con gli Hot head Show di Jordan Copeland. Ma sono stati altrettanto importanti i flop colossali, tipo il live davanti ad una persona a Bibione qualche anno fa, o il live davanti a nessuno vicino casa nostra: momenti epici ed indimenticabili, se non fosse per il tasso alcolemico tramite il quale si sono svolti, il che offusca parecchi dettagli al riguardo.

Ci parlate del vostro singolo “We are the boylers”?

“We are The Boylers” è l’epilogo di un processo creativo durato diversi anni:
sintesi in inglese del motto di Mirco (voce) prima della nostra esibizione all’Alcatraz in cui urlava al microfono “… noi siamo gli ultimi, noi siamo i The Boylers!”. La si può intendere in diverse accezioni: ultimi della rassegna del giorno, ultimi che vivono il rock n roll come andrebbe vissuto, senza assumere troppe pose e senza prendersi troppo sul serio, “ultimi della classe”, e così via, decidete voi. Mentre il riff ripetitivo doveva essere una sbecie di smorfia, uno sberleffo, il testo è un po’ un autoritratto nel contesto musicale in cui siamo immersi e per come lo percepiamo. “We ain’t handsome and not even rich, we are four motherfuckers and a son of a bitch!”

Quanto conta secondo voi la passione, la costanza e la motivazione per avviare una carriera musicale?

La passione è il cardine fondamentale senza il quale sarebbe impossibile
praticare qualsiasi attività in qualsiasi contesto e forma, ed è importantissimo avere motivazione, poichè è il motore che alimenta e spinge tutto il meccanismo.
Per quanto concerne la carriera musicale, basti pensare che noi non ne abbiamo e non ne abbiamo mai avuta una, pertanto vien da sé capire quanto importante sia la costanza!

Qual è il messaggio che volete trasmettere attraverso le vostre canzoni?

Lorenzo il Magnifico è un buon punto di partenza per decifrare il messaggio principale dei “the Boylers”, con il suo blasonato “quant’è bella giovinezza..”, ma non disdegnamo il racconto di aneddoti di vita vissuta, fotografie dei nostri momenti e luoghi di aggregazione, e ogni tanto ci togliamo qualche sassolino dalla scarpa: tanto cantiamo in inglese, potrebbe essere tutto una supercazzola, e alla gente frega poco dei testi importanti. Di sicuro, però, il nostro messaggio è sempre positivo. Poi la vecchia giunta comunale ci ha condannati un sacco di volte per aver inneggiato ingiustamente al satanismo e incitato all’uso di droga, ma sono cose vecchie.

Autoproduzione oggi. Qual è la vostra visione?

Non abbiamo mai avuto un produttore, quindi dal punto di vista esecutivo ed artistico ci siamo sempre arrangiati. Certo, ci sarebbe sempre piaciuto avere qualcuno che ci proteggesse e ci indicasse la strada, ma abbiamo un’idea abbastanza solida sul nostro suono, quindi difficilmente saremmo disposti ad addolcilrci, anche se oggi tutto ha un prezzo.

Com'è il vostro rapporto con i social?

La maggior parte dei nostri rapporti avvengono sul web, quindi con questo abbiamo un rapporto davvero “bellissimo” .. Coi social non siamo particolarmente forti, ma grazie a Fabio, il nostro ragazzo immagine e anche batterista, ad ogni foto si rasenta la viralità.

Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro della musica?

L’emergenza Coronavirus poteva essere una valida occasione per far tornare alla
ribalta la figura dell’artista: mai come in un simile contesto la gente aveva bisogno di intrattenimento, ed un coordinamento tra artisti avrebbe potuto far rilanciare un mercato svalutato e deprezzato come non mai, ma si sa che oggi conta di più il mettersi in mostra a tutti i costi fine a sé stesso. Nella speranza che la cagata dei concerti drive-in non vada mai in porto, forse un collasso delle realtà più grosse potrebbe lasciare spazio alle piccole realtà locali, ma le persone tendono sempre di più a fruire della musica in modo passivo, e nessuno ormai imbraccia una chitarra, tantomeno per imparare a suonare una canzone di chi poi: Fedez? Gli assoli ormai sono roba da vecchi.